Diciotto casi di violazione delle leggi sul lavoro in Cina: è l’accusa lanciata dalla ong China Labor Watch (con sede a New York) nei confronti della Mattel, a seguito di un’indagine compiuta nei suoi stabilimenti cinesi che producono, tra gli altri, le Barbie.
Già nel 2012 la ong aveva richiesto all’azienda produttrice di giocattoli un miglioramento delle condizioni di vita degli operai cinesi. Ora un anno dopo – e a seguito dell’indagine condotta da personale della ong assunto nelle fabbriche, nel periodo più caldo per la produzione in vista delle feste natalizie – i risultati sono ancora peggiori: innanzitutto la Mattel farebbe lavorare in piedi il proprio personale per 18 ore consecutive, senza pagare le 110 ore di straordinario effettuate.
Inoltre opererebbe una discriminazione nei confronti di alcune persone, come le donne in attesa di un figlio, persone con tatuaggi o uomini con i capelli lunghi (in violazione delle leggi cinesi per l’assunzione). Secondo China Labour Watch, con lo scopo di mantenere i propri prezzi competitivi, le fabbriche non avrebbero mai versato i contributi sociali dei dipendenti, arrivando a risparmiare anche 8 milioni di euro all’anno.
Il mancato pagamento dei contributi e degli straordinari (le principali cause degli scioperi nel mondo del lavoro cinese) avrebbero portato a forme di protesta dei lavoratori nello scorso mese di agosto. Le fabbriche incriminate non produrrebbero solo per la nota marca di giocattoli, ma anche per la Hasbro, Disney e Tomy.
China Labour Watch nel suo report ha anche denunciato le condizioni di vita nelle città- fabbriche, dove alloggiano i lavoratori: dormitori sovraffollati, nei quali vivrebbero dalle 8 alle 12 persone, spesso senza acqua calda per lavarsi. Un particolare capitolo riguarda le donne: secondo gli attivisti della ong, chi rimane incinta del secondo figlio, in violazione della legge del figlio unico, non beneficia del congedo maternità. Per queste donne si profila come unica soluzione l’aborto o la perdita del lavoro.
In Cina, paese che cerca faticosamente di convertire la propria economia basata sulla produzione a basso costo, la Mattel non è l’unica azienda finita nel mirino di associazioni e attivisti: nei giorni scorsi era stata la taiwanese Foxconn, ad ammettere di aver impiegato lavoro minorile nelle proprie fabbriche. L’accusa di utilizzare studenti all’interno dei propri impianti nei periodi di maggior picco lavorativo era già nota, ma alcuni giorni fa è stata la stessa Foxconn ad ammetterlo.
L’azienda taiwanese, che produce tra gli altri per Apple, è stata spesso al centro di scandali legati alle condizioni dei propri lavoratori, tanto da annunciare, un anno fa circa, il passaggio all’automazione attraverso l’impiego di un milione di robot; la Foxconn è nota anche per l’ondata di suicidi, diciotto, che negli scorsi anni hanno sconvolto le proprie fabbriche- dormitori.