Verso il terzo plenum del Pcc

In by Simone

Come sta andando l’economia cinese? E’ la domanda che si pongono tutti gli osservatori internazionali, a seguito dell’ultimo semestre, contraddistinto da un rallentamento, al 7,5 percento, considerato da tutti come il sintomo di una contrazione del processo di crescita cinese. Terra, hukou e eredità saranno discussi a novembre, nell’atteso terzo plenum del Pcc. Nel mese di settembre è stato segnalato un tiepido miglioramento, che ha fatto pensare ad una ripresa della locomotiva cinese, ma in verità i sintomi sembrano ancora labili. A luglio la Cina ha prodotto un mini pacchetto di stimoli, con sgravi fiscali per le società che esportano e ha prodotto alcuni investimenti in settori ritenuti strategici, come quello delle ferrovie.

Il risultato è arrivato proprio ieri, attraverso i dati ufficiali cinesi che dimostrerebbero un aumento dell’indice di acquisto del manifatturiero al 55,4 percento, rispetto al 53,9 di agosto. Sopra il 50 significa che l’economia cammina. Si tratta di dati differenti rispetto a quelli pubblicati da HSBC alcuni giorni fa, che davano l’indice solo al 50, 2 seppure in aumento (ad agosto 50,1).

A novembre si svolgerà il Plenum del Partito comunista, per il quale c’è grande attesa: in Cina se ne parla come di un momento storico, al pari dell’inizio delle Riforme volute da Deng Xiaoping. «L’incontro approfondirà le riforme su tutti i fronti», ha detto alla Reuters un economista di un think-tank governativo di Pechino, che è stato coinvolto nella stesura del progetto di riforma.

«L’attenzione sarà focalizzata sulle riforme economiche – la riforma finanziaria , quella fiscale, dei prezzi delle risorse – e ci saranno modifiche in settori collegati, come il benessere sociale e la distribuzione del reddito», ha detto l’economista che ha rifiutato di essere identificato perché le discussioni sui piani di riforma sarebbero «confidenziali».

Ci sono molte ricette economiche al vaglio, quindi, secondo quelle linee guida tratteggiate da Li Keqiang, il premier. In particolare la Cina si appresta a puntare su alcune riforme specifiche. In primo luogo, ci si occuperà della terra, annoso problema cinese: sembra che il governo sia intenzionato a consentire ai contadini di vendere la propria terra, una volta deciso di abbandonare le campagne. Un abbandono spinto dal governo, del resto, la cui parola d’ordine è ancora una volta «urbanizzazione».

Di pari passi con questo processo storico, che sposterà oltre 250 milioni di persone in dodici anni, dovrebbe avvenire la riforma del certificato di residenza, l’«hukou» che attualmente lega i diritti dello stato sociale, pochi, al luogo di nascita. Una riforma dell’hukou, anche parziale, ha come obiettivo quello di consentire ai cinesi di spendere meno per i servizi sociali e consumare quindi di più nel mercato interno.

Al vaglio del governo ci sarebbero anche tasse sull’eredità e un controllo maggiore degli investimenti da parte delle amministrazioni locali, fautrici del debito pubblico locale. Fino ad ora infatti i governi locali hanno utilizzato i propri soldi per investimenti speculativi nel settore immobiliare, che non hanno aiutato una redistribuzione del reddito, finendo per pesare sull’economia interna.

L’intenzione è di procedere passo passo; anche per questo dovrebbe rimanere fuori, al momento, la grande riforma delle aziende di stato, vera e propria roccaforte politica ed economica di molti dei leader cinesi, poco propensi a liberalizzare settori chiave per il governo di Pechino.

Secondo gli osservatori l’ambito rimane ancora viziato dall’impossibilità per imprenditori privati di accedere ai finanziamenti delle banche statali: «il timore è che la situazione possa diventare caotica se si promuoveranno cambiamenti su tutti i fronti e si potrebbe cadere da una rupe, se si farà un passo troppo grande», ha detto Zhang Bin, economista presso l’Accademia Cinese delle Scienze Sociali.

[scritto per il manifesto; foto credits: thediplomat.com]