Da una parte all’altra di Eurasia per studiare all’ambìto Politecnico, immagazzinare informazioni utili, stringere la cinghia, dare soddisfazione alla famiglia e porsi poche domande che possano "distrarre". Piccola storia migrante sulla moderna Via della Seta Si può vivere a Milano con cento euro al mese? Si può.
La famiglia di Turghun è povera e contadina, così me la descrive Tömür, anche se la casa in cui ci accolgono, nella campagna alla periferia di Turpan, è più che dignitosa. Madre e figlia, entrambe con il velo nei capelli, ci offrono il tè ma si scusano per non poterci invitare a cena. Siamo passati a ritirare qualche vestito e altri oggetti che vogliono fare avere al ragazzo lontano. Tömür tornerà in Italia con la valigia pesante.
La madre di Turghun, analfabeta, ha scoperto la cultura facendosi leggere dal figlio il romanzo di uno scrittore locale . L’esperienza è stata così sconvolgente, in senso buono, che ha immediatamente deciso che lui dovesse studiare. E il ragazzo ci ha messo del suo, vincendo una borsa di studio dopo l’altra e arrivando prima all’università di Nanjing e quindi, in un ideale cammino lungo la Via della Seta, al Politecnico. Qui ha incontrato casualmente Tömür, architetto; probabilmente gli unici due uiguri di Milano, membri della minoranza etnica turcofona che vive in Xinjiang, la regione più occidentale della Cina, già geograficamente e culturalmente Asia centrale. Entrambi dall’altra parte di Eurasia a fare un master, il sogno coltivato per anni.
Turghun è ingegnere informatico, ha 31 anni, si è sposato l’anno scorso e aspetta che la moglie ottenga il visto per raggiungerlo a Milano, dove ha ottenuto una camera alla casa dello studente e vive, appunto con 100 euro al mese. Grazie a un programma italiano sul diritto allo studio, ha avuto meno di duemila euro in soluzione unica e quella benedetta camera gratis. Ha fatto i suoi conti e da allora risparmia, si è impegnato a spendere meno di 5 euro al giorno. È autodidatta in inglese e italiano, ma la sua conoscenza della nostra lingua non è sufficiente per dargli un lavoro part-time a Milano, anche come kebabbaro. La sua lingua madre gli permette di comunicare con i turchi, per questo affettare kebab continua a rimanere un’ipotesi valida.
È facile che una storia del genere commuova, ma l’agiografia dei santi era un genere stucchevole e reazionario già mille anni fa. È facile anche cadere nella retorica, come fa Tömür quando dice: “Di fronte ad Turghun mi sento un perdente”, lui che viene da una famiglia che per gli standard dello Xinjiang definiremmo ceto medio.
Ma è lo stesso Tömür che mi parla di discussioni che si protraggono nelle notti milanesi in cui i due amici si trovano in disaccordo “su alcuni punti”. Tutto è dovuto al fatto che Turghun, il piccolo (anche di statura) genio che macina borse di studio, “non esercita il minimo senso critico”.
Sia chiaro: a dirmelo non è un novello Marcuse della Cina di frontiera. Tömür è musulmano osservante. Dopo una giovinezza globalizzata e secolarizzata, ha da qualche tempo smesso di bere alcol per motivi religiosi, crede che l’Islam sia solo sunnita (“i sufi rappresentano un falso Islam perché sono individualisti”) e manifesta quella sottile paranoia igienista che per me è connaturata alla sua religione: “Non mangio animali ‘sporchi’, cioè quelli che mangiano altri animali, però i pesci sì, tranne gli squali (?!?); non voglio ‘avere intimità’ prima del matrimonio, perché così mi sento ‘puro’”. E, a proposito di matrimonio, sta ancora aspettando che la ragazza su cui ha messo gli occhi gli dia una risposta, ma ha già deciso che quando saranno sposati lei dovrà accudire eventuali figli senza lavorare, “almeno per un po’”.
Tuttavia, a suo avviso Turghun “non ha senso critico”: non ne ha tempo, non gli appartiene; per lui studiare significa lottare ogni giorno con le condizioni avverse, immagazzinare informazioni tecniche che gli consentano poi nella vita di restituire alla famiglia ciò che gli ha dato. No conflitto, no possibilità di dire “no”, solo studio matto e disperatissimo, con cinque euro da spendere al giorno. Eppure, quando i due amici discutono nelle notti milanesi, succede che il piccolo, tignoso Turghun si fermi pensoso e poi dica, quasi stupito: “Sì, forse posso imparare anche dagli altri”. Così si scioglie un po’.
Nota: i personaggi di questa storia esistono davvero, ma ho preferito cambiare i loro nomi
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