Memorie dal (sotto)suolo

In by Simone

Pensando a mio padre (nottetempo, 14 €) raccoglie le memorie di uno dei quattro figli di un poverissimo villaggio di contadini delle pianure solcate dal fiume Giallo, la culla dell’antica civiltà cinese. E quel figlio è Yan Lianke, scrittore di chiara fama ormai cinquantacinquenne, che dalle campagne è fuggito in città.

La cosa che più di ogni altra si staglia nitida nella mia memoria è l’immagine di mio padre che lavora”. A 55 anni, finalista del Man Booker Prize 2013, vincitore di due dei più prestigiosi premi letterari cinesi (il Lu Xun e il Lao She) e con diversi lavori censurati in patria, Yan Lianke scrive un romanzo intimista sulla figura del padre scomparso oltre un quarto di secolo fa. Pensando a mio padre raccoglie le memorie di uno dei quattro figli di un poverissimo villaggio di contadini delle pianure solcate dal fiume Giallo, la culla dell’antica civiltà cinese.

Come il padre dissodava il terreno e costruiva la casa di famiglia da solo, una picconata dopo l’altra, così Yan Lianke dissotterra dolorosamente i ricordi. L’infanzia di stenti e privazioni durante gli anni del catastrofico ‘Grande balzo in avanti’ e l’adolescenza, vissuta in piena Rivoluzione culturale.
All’epoca frotte di “giovani istruiti” venivano mandati a essere ‘rieducati’ nel suo villaggio, finendo solo per rendere ancora più evidente l’abisso culturale ed economico tra villici e cittadini.

La loro esistenza mi ricordava costantemente la mia inferiorità. Mi faceva pensare all’intrinseca disparità dei nostri destini e costituì effettivamente l’inizio del mio incessante desiderio di abbandonare il villaggio e la consapevolezza della perenne impossibilità di colmare il divario che separava le nostre vite”.

 

Yan scappò via appena poté, prima lavorando sedici ore al giorno in un cementificio e poi facendosi assumere dall’Esercito di liberazione popolare per cui divenne, in pochi anni, scrittore di propaganda. Ed è un rimorso che lo dilania.

 

Piuttosto che di arruolamento nell’esercito, bisognerebbe parlare di fuga dalla mia terra; piuttosto che chiamarla fuga, sarebbe meglio dire che si trattò di tradimento verso la mia famiglia; piuttosto che affermare che tradii la mia famiglia, sarebbe più giusto dire che rinnegai le responsabilità che un figlio deve assumersi nei confronti del proprio padre e dei propri congiunti. Avevo vent’anni”.

 

È severo con sé Yan Lianke. Ma non è stato il solo, né il primo a fuggire dalla miseria delle campagne cinesi. Nel 1979 l’anno successivo al suo arruolamento, mentre Deng Xiaoping prendeva le redini del paese smantellando le comuni popolari e introducendo la responsabilità individuale di produzione, i contadini costituivano l’81 per cento della popolazione cinese. Alla fine del 2011, solo trent’anni dopo, è avvenuto lo storico sorpasso: i cinesi che vivono in città hanno superato quelli che vivono nelle sterminate campagne cinesi. E al Partito non basta. 
L’attuale leadership ha un progetto ancora più ambizioso: 900 milioni di residenti urbani entro il 2025. Significa che per quella data la popolazione rurale costituirà solo il 35 per cento del totale. E significa, in termini macroecononomici, più consumatori e meno contadini, più terziario e meno produzione. È il famoso progetto che vede nel potenziamento del mercato interno l’unica via per continuare a crescere, ma le cui incognite (a partire da quelle ambientali) sono talmente tante da far temere ad alcuni ricadute peggiori di quelle dovute alla Rivoluzione culturale, quando un’intera generazione saltò le tappe fondamentali dell’istruzione scolastica.

 

La terra natia dello scrittore, oggi, è popolata solo da donne, vecchi e bambini. Sono loro quelli rimasti a coltivare la terra. I maschi in età da lavoro sono tutti in città, fanno parte dell’esercito di manodopera fluttuante che ha costruito il miracolo” cinese. “Il problema principale è stato il passaggio dall’utopia del comunismo all’utopia del capitalismo. Il cambiamento da un tipo di società all’altra ha comportato per la gente comune una sete di denaro e di guadagno ingestibile”, ci aveva spiegato una volta Yan Lianke.

 

A quel tempo, esattamente come accade nelle attuali politiche di apertura e riforme, al centro degli interessi erano le città, non certo le campagne con il loro miliardo di contadini. La rivoluzione produce passione, non cibo. In campagna, rivoluzione o non rivoluzione, bisogna pur sempre coltivare. Non si può ignorare la terra”.

[Scritto per il Fatto Quotidiano; foto credits: www.theaustralian.com.au]

*Scrittore di chiara fama, Yan Lianke è nato nel 1958 da una famiglia di contadini nelle sperdute campagne dello Henan. In Cina molti dei suoi libri sono stati ritirati dalle librerie. In Italia sono stati tradotti: Servire il popolo (Einaudi, 2006), Il sogno del Villaggio dei Ding (Nottetempo, 2011) e Pensando a mio padre (Nottetempo, 2013). Su Caratteri Cinesi la traduzione di alcuni inediti (per gentile concessione dell’autore).