Oltre a dare a Xi le chiavi della presidenza a vita, l’Assemblea nazionale del popolo è pronta a a varare una nuova Commissione sottoposta solo al capo, che potrà usarla per colpire corrotti e disobbedienti. Un altro segnale dell’involuzione autoritaria in corso a Pechino.
L’Assemblea nazionale del popolo in Cina si riunisce ogni anno per ratificare quanto deciso dal Consiglio di Stato, che a sua volta ratifica quanto precedentemente discusso e stabilito dal partito comunista. Si tratta quindi di un momento che — pur avendo un proprio cerimoniale e una sua rilevanza simbolica — di fatto ufficializza importanti linee guida stabilite in precedenza.
Quest’anno la decisione che ha destato maggiore impressione sui media di tutto il mondo, è quella di abolire il limite dei due mandati per la presidenza della Repubblica cinese, dando così a Xi la possibilità di mantenersi al potere ben oltre i canonici dieci anni. Si tratta di una ratifica scontata giunta domenica con 2.958 voti a favore.
L’Assemblea ha inoltre stabilito i livelli di crescita per quest’anno (6,5%), il budget per la difesa (+8,1%), ha sostanzialmente dato il benestare alla modifica dell’assetto delle forze armate, semplificando e snellendone la governance e — che sorpresa — aumentandone la possibilità di controllo e riforme da parte del “commander in chief”, ovvero Xi Jinping.
Tutto questo, però, nonostante segni un passo indietro all’interno del partito comunista e quindi per tutto l’assetto politico e burocratico del Paese, non sarebbe sufficiente senza un’altra ratifica che finirà per pesare e non poco sul futuro istituzionale della Repubblica popolare cinese, confermando quella sensazione di un ritorno al passato non da poco compiuto dal partito comunista.
Si tratta dell’ufficializzazione di un nuovo organo: la Commissione nazionale di supervisione. La sua ratifica costituisce un’involuzione che — benché trovi spiegazioni interne sensate (a garantire la stabilità e la continuità con tutto quanto ha progettato Xi per il futuro del Paese) e benché sia giustificato da una generale ricerca di “uomini forti” registrata un po’ in tutto il mondo — non può essere sottovalutata: la Cina è la seconda potenza al mondo, ha interessi in ogni zona del pianeta e ha ormai una potenza di fuoco che seppure inferiore, è sempre più vicina agli standard dei primi al mondo a livello militare, cioè gli Usa.
Già a fine del 2017 si era discusso ampiamente della legge di supervisione che avrebbe dato vita alla Commissione nazionale di supervisione: un organo sopra a tutto, ma non sopra a Xi Jinping, anzi a lui direttamente sottoposto. L’obiettivo? Gestire al meglio, ancora meglio di quanto fatto in passato, tutta la macchina giudiziaria anticorruzione (che tra i tanti dubbi circa alcune delle sue “vittime” ha avuto sicuramente il pregio di ripulire la burocrazia cinese e di riportare nella popolazione un rispetto verso il partito che cominciava pericolosamente a mancare).
In pratica, questo nuovo organo potrà allargare tutta una serie di funzioni che precedentemente erano riservate ai funzionari del partito, anche a persone sganciate dal partito (imprenditori, ad esempio, ma anche avvocati, manager di strutture pubbliche). Le detenzioni previste per membri del partito, senza avvocato, senza darne alcuna notizia pubblica, potranno valere per tutti quelli colti a prendere mazzette (e non solo, come vedremo).
L’intento presentato è quello di porre a norma di legge consuetudini utilizzate nella campagna anti corruzione. Norma di legge con “caratteristiche cinesi”, naturalmente, perché la realtà dei fatti potrebbe portare a un’ulteriore arbitrarietà nella conduzione di questa campagna. Inoltre, come sottolineato da molti osservatori, non è previsto un organo che controlla i controllori. Pensare a Xi presidente, segretario e capo delle forze armate a tempo illimitato è già da considerarsi un passo indietro. Unire queste funzioni alla possibilità di gestire una sorta di tribunale personale è ancora più grave.
Carl Minzner, attento studioso della Cina, nel suo recente End of an Era: How China’s authoritarian revival is undermining its rise storicizza questo nuovo organo inserendolo all’interno di una dinamica specifica del metodo di potere di Xi. Secondo Minzner, Xi Jinping ha contribuito a creare una serie di piccoli “gruppi di potere del capo” (lingdao xiaozu) in grado di superare anche funzionari posti in posizioni più alte nel ranking politico cinese.
Un settore che esemplifica questi passaggi è sicuramente quello economico, ambito nel quale questi piccoli gruppi di fedelissimi a Xi hanno finito per sradicare le decisioni economiche da Li Keqiang, il premier, per riportarle all’interno di una sorta di cerchio magico di fedelissimi. Secondo Minzner anche la Commissiona nazionale di supervisione sarebbe parte di questo progetto agito attraverso i lingdao xiaozu. L’organo infatti “assicura il portfolio della sicurezza nazionale e riporta tutto direttamente a Xi”. Attenzione, però, scrive Minzner: “a Xi, non al comitato permanente del Politburo”.
Non solo, perché nel documento che verrà ratificato, a meno non venga ancora una volta riformulato, non si parla solo di “controllo contro la corruzione”. Tra i comportamenti passibili di azione penale ci sarebbe anche “l’inadempienza ai doveri”. Significa, molto semplicemente, che la commissione sarà una vera e propria forza di “controllo ideologico” e di “fedeltà” ai dettami di Xi.
Andrew Gilholm su Foreign Affairs ha riassunto al meglio cosa potrebbe succedere: questa pressione potrebbe avere effetti negativi, portando in auge, di fatto, una classe politica prona al leader e che per paura di finire tra le maglie della commissione potrebbe omettere problemi e dati negativi. Un po’ come accadde durante il Grande Balzo in avanti. In epoca maoista appunto.
di Simone Pieranni
[Pubblicato su Eastwest]