Espandere la propria presenza nel mercato dei media mondiali come simbolo del proprio protagonismo sulla scena mondiale. Nei prossimi anni la Cina spenderà milioni di dollari per la creazione di un’industria dell’informazione e dell’intrattenimento in grado di competere con giganti quali la News Corporation di Rupert Murdoch e la Time Warner. Un progetto ambizioso che, secondo le indiscrezioni, dovrebbe prevedere il lancio di un canale all-news in lingua inglese, ispirato alla CNN, che dovrebbe trasmettere da Singapore o da qualche altra sede fuori dalla Repubblica popolare. Nei piani di Pechino non c’è solo la televisione. Nella mischia entra anche l’ufficialissima voce del Partito comunista cinese (Pcc), il Quotidiano del popolo, che presto, questione di pochi mesi, potrebbe avere una sua versione in lingua inglese.
Il piano dovrebbe lasciare grande libertà alle aziende statali, che potranno così dare sfogo alla propria creatività producendo e finanziando prodotti culturali e d’intrattenimento. Unica eccezione a questa ventata di libertà saranno i programmi d’informazione, che resteranno sotto lo stretto controllo del Partito. I costi si aggirerebbero intorno tra i 4,7 e i 6,6 milioni di dollari, ma le cifre, riportate dalla Reuters e dal South China Morning Post, non hanno ancora trovato conferma.
Di sicuro, invece, c’è almeno una delle destinazioni dei fondi. A beneficiare della nuova politica culturale del governo sarà lo Shanghai Media Group (SMC), uno dei gruppi più importanti del paese. A darne conferma sono proprio i vertici dell’azienda. «Il mercato dei media nazionali è cambiato drammaticamente – ammette intervistato dal New York Times Li Ruigang, quarantenne presidente e amministratore delegato di SMG – Sta per nascere una nuova SMG. In futuro ci sarà una holding, e ci saranno più di 10 società controllate». Un nuovo futuro per un’azienda che può vantare partnership come la News Corporation, Viacom e CNBC.
Il progetto appare come una colossale operazione di soft power. La strategia di Pechino sembra chiara, la Cina punta a migliorare in questo modo la propria immagine globale, promuovendo la cultura cinese nel resto del mondo. Il governo cinese è conscio dei problemi di comunicazione che il paese ha con l’Occidente. Problemi dovuti ad una «differente cultura e tradizione dei media» che si riflette in «una carenza nelle pubbliche relazioni internazionali» scrive in un recente saggio Lu Yiyi, del China Policy Institute dell’università di Nottingham. Una mancanza che Pechino ha iniziato a colmare a partire dall’organizzazione dei Giochi olimpici dello scorso anno. Anzi per Steven Dong, direttore del Global Journalism Institute dell’università Tsinghua di Pechino, uno degli atenei più rinomati del paese, è stato il successo di Pechino 2008 «a persuadere il governo ad investire più soldi» nel progetto. Non si tratta tuttavia di sola ricaduta d’immagine, la Cina è anche desiderosa di entrare a far parte del giro d’affari che ruota intorno al mondo dei media. Non per niente la lettera d’invito al Forum mondiale sui media, tenutosi nella capitale cinese, dal 8 al 10 ottobre chiariva come l’incontro fosse un’occasione utile per «mettere a fuoco come il mondo dei media potesse affrontare le sfide e le opportunità dell’era digitale e trarre profitto dalle nuove tecnologie».
Il meeting, organizzato dall’agenzia ufficiale Xinhua, ha riunito l’élite del mondo dei media globali, erano presenti Murdoch e la sua News Corporation, l’Associated Press, l’Agence France-Presse, la BBC, la Reuters, BBC, l’agenzia russa ITAR-TASS, la giapponese Kyodo e la Turner Broadcasting System (TBS). E a simboleggiare la nuova ambizione cinese nel campo dei media, l’incontro è stato aperto dal presidente Hu Jintao in persona. Hu ha esortato i media globali a promuovere «un’informazione vera, corretta, comprensiva e obbiettiva», forse memore dell’editoriale del giornale teorico del PCC, Cercare la verità, che in agosto accusava la stampa occidentale di «monopolio» e di alimentare pregiudizi. Hu ha però rassicurato i giornalisti stranieri promettendo che la Cina continuerà a salvaguardare il loro «legittimi»diritti ed interessi, naturalmente «in accordo con le leggi cinesi».
Una rassicurazione subito raccolta da Murdoch che, parlando alla Xinhua, afferma ottimisticamente che «non potrebbe esserci momento migliore per essere un reporter in Cina». Poco spazio è stato invece concesso alle discussioni sulla libertà di stampa. Ma come scrive il China Media Project dell’università di Hong Kong: «It’s all about business, right?» Solo affari giusto?
[pubblicato su Il Riformista del 18 ottobre 2009]