Vietnam soul (15,30 €) riunisce i racconti del celebre scrittore vietnamita contemporaneo Nguyên Huy Thiêp. Gli eventi del quotidiano fanno da trama alla fine osservazione di caratteri, credenze, trasformazioni che contraddistinguono le zone del paese lontane dai grandi centri cittadini. China Files ve ne regala un estratto (per gentile concessione della casa editrice ObarraO). A quel tempo, viveva a Hua Tat una fanciulla di nome Pùa. La sua bellezza non aveva pari fra tutte le ragazze del villaggio: aveva pelle bianchissima, capelli lunghi e lisci, labbra di un rosso acceso. Ma una disgrazia purtroppo la affliggeva: le gambe erano paralizzate, e ciò la costringeva a giacere per mesi, anni, nello stesso posto.
Pùa aveva sedici anni all’epoca dei fatti. Sedici anni è l’età della primavera, l’età dell’amore. L’amore può sbocciare tante volte, la primavera di una fanciulla invece arriva una volta soltanto. Il sedicesimo anno d’età rappresenta il primo mese di questa primavera e quando una fanciulla raggiunge il diciannovesimo anno, per lei è forse già arrivato l’autunno. La primavera a Hua Tat di solito è allietata dal suono del khen be. Le sue melodie rallegrano il piano terra delle case su palafitte e i quan. L’erba non riesce a spuntare ai piedi delle scale e il terreno diventa polveroso.
Ma nella casa di Pùa non si era udita alcuna nota di khen be. Nessuno aveva voglia di sposare una donna paralitica. Tutti provavano pietà per lei. Avevano offerto doni agli spiriti, cercato rimedi, ma era stato tutto inutile: le sue gambe non si muovevano.
A Hua Tat quell’anno l’inverno fu terribile. Il clima era cambiato in modo insolito, la rugiada gelida aveva fatto rinsecchire gli alberi, l’acqua era ghiacciata ovunque. Quell’inverno nella foresta di Hua Tat sembrava una tigre molto feroce. Poiché essa si aggirava sempre nei dintorni, giorno e notte, il villaggio appariva deserto, nessuno aveva il coraggio di uscire di case di recarsi nei campi. La notte, le scale di accesso venivano protette da barricate, le porte ben chiuse. La mattina si invenivano le impronte della tigre sul terreno intorno alle palafitte.
La piccola comunità viveva in uno stato di terrore. Si diceva che la tigre avesse un cuore particolare, grande come un sassolino e trasparente, dotato di magiche proprietà curative e che avrebbe protetto chi lo avesse posseduto. Chi fosse riuscito a procurarsene uno, avrebbe ottenuto fortuna e prosperità per tutta la vita. Conservato nel liquore, il cuore di tigre avrebbe guarito persino le più gravi malattie. Bevendo questo infuso le persone paralizzate, come Pùa, avrebbero potuto guarire.
L’eco di tali dicerie, come il volo di un gheppio, si diffuse per tutta la vallata. Intorno ai focolari, sotto i quan, sulle rive dei torrenti, nei campi non si parlava d’altro. La voce arrivò persino nelle pianure dei Kinh, sulle alte cime delle montagne dei H’mong. Stranamente le parole che escono dalle bocche degli ignoranti sono sempre più interessanti della cose raccontate dalle persone sagge.
Così, gente di molte etnie, Thai, Kinh, H’mong…, si mise a caccia della tigre. C’era chi voleva quel cuore come amuleto, chi intendeva usarlo come rimedio magico. Come si possono biasimare? In fondo molti di noi hanno inseguito qualcosa di effimero nella vita.
Tra i cacciatori, c’erano numerosi giovani di Hua Tat che volevano impadronirsi del cuore della tigre per guarire Pùa dalla sua malattia. La caccia proseguì per tutto l’inverno. Ma la tigre, intelligente e astuta, quasi messa in guardia da una segreta magia, evitava i luoghi dove gli uomini erano in agguato. Anzi, erano i cacciatori le vere prede. Ne furono sbranati una decina. I pianti di dolore si mescolarono all’ululato del vento nella valle. Il desiderio di cacciare la belva cominciò a scemare, i cacciatori si fecero sempre meno numerosi, come i frutti maturi su un albero, e alla fine ne rimase uno solo, di nome Kho.
Kho era un giovane del villaggio, orfano di padre e di madre, e come un porcospino viveva in solitudine, percorreva sentieri che solo lui conosceva; nessuno sapeva come facesse a mantenersi. Kho non aveva mai partecipato alle riunioni e alle feste del villaggio, poiché oltre che povero era anche brutto. Aveva avuto il vaiolo e ne portava le cicatrici sul viso, il corpo era deforme, le braccia lunghe fino alle ginocchia, le gambe scheletriche. Camminava svelto come se corresse. In fondo, quando mai il porcospino si sposta passo dopo passo?
Vedendo Kho andare a caccia della tigre tutti rimasero sorpresi e lo furono ancor di più quando seppero che la cacciava non per tenere per sé il cuore miracoloso, ma per guarire Pùa. La notte lo si vedeva sotto la palafitta di Pùa, quasi fosse un ladro, con lo sguardo fisso da innamorato. Nessuno di Hua Tat sapeva quali tracce seguisse Kho né come la tigre potesse conoscere il sentiero del porcospino, perché anch’essa, sentendosi in pericolo, cambiava spesso nascondiglio e percorsi. I due nemici si davano la caccia a vicenda.
Una notte, mentre alcuni amici erano riuniti in casa di Pùa, un colpo di fucile riecheggiò nell’aria come il botto di un fulmine, seguito da un feroce ruggito proveniente dalla gola della montagna. “La tigre è morta! Kho l’ha sicuramente centrata!” Tutto il villaggio era in tumulto come una foresta squassata dalla tempesta. Tutti urlavano di gioia, ma c’era anche chi urlava e piangeva allo stesso tempo. Gli uomini accesero le fiaccole e partirono verso la foresta alla ricerca di Kho.
Solo alle prime ore del mattino trovarono il suo corpo e quello della tigre. Erano rotolati entrambi e giacevano nel letto del torrente. Kho aveva la schiena fracassata, il volto pieno di graffi. La tigre, la fronte trapassata da un proiettile. Ma la cosa più sorprendente era che il petto della tigre era stato squarciato e il cuore non c’era più. Lo squarcio del coltello era ancora fresco e il sangue fuoriusciva a fiotti, schiumando. Qualcuno aveva rubato il cuore della tigre! Tutti si zittirono e rimasero a capo chino, mortificati, rabbiosi, addolorati.
Durante quell’inverno, più di dieci uomini erano morti per colpa della tigre. Ad essi ora si dovevano aggiungere altre due vittime: Pùa e Kho… Gli abitanti di Hua Tat seppellirono la tigre nel punto in cui fu trovata morta. Oggi nessuno parla più della leggenda del cuore miracoloso della tigre. È stata dimenticata, come si dimenticano le tante amarezze di questo mondo. Ed è necessario che così accada.
Pochi sono coloro che ricordano questa storia.
*Nguyên Huy Thiêp è considerato il più significativo scrittore vietnamita contemporaneo. Nato nel 1950 in un villaggio alla periferia di Hanoi, frequenta le scuole cattoliche sebbene di madre buddista e nonno confuciano. Laureato in Storia all’Università di Hanoi, fino al 1980 insegna nelle scuole della regione montagnosa al confine con il Laos. Rientrato ad Hanoi fa l’illustratore di testi scolastici per il Ministero dell’Educazione sino al 1986, quando inizia a pubblicare i suoi racconti. I suoi scritti provocano scandalo, gli editori lo rifiutano, il potere politico lo isola. Oggi è riconosciuto in patria e tradotto con successo in altri paesi. Ospite nel 2005 del Festivaletteratura di Mantova, è vincitore del Premio Nonino Risit d’Âur 2008.