Intrigo a Shanghai (€ 16), quella degli anni ’30, il paradiso degli avventurieri. Un omicidio, un giovane fotografo, un’indecifrabile donna d’affari russa e la moglie bellissima e misteriosa di un funzionario del partito nazionalista. E ancora rivoluzionari comunisti e società segrete. China Files ve ne regala un estratto (per gentile concessione di Sellerio editore).
25 maggio 1931, anno XX della Repubblica
Ore 9:10
La casa da tè Morris somigliava a una nave. Che ci fossero edifici fatti in questo modo non era così strano, nella Concessione vivevano commercianti europei ormai avanti con gli anni che avevano il pallino per queste frivolezze: affibbiarsi il titolo di «capitano», costruire case con finestre a oblò, attaccare timoni alle pareti e così via. Volendo essere più precisi, la casa da tè somigliava più che altro a una torretta esagonale sospesa a mezz’aria, con la sua scala tortuosa, i corrimano rivestiti d’ottone e il salone al secondo piano con le tre pareti a vetrata: guardando a nord est, da qualunque lato si girasse la testa, si vedeva sempre l’ippodromo. Nella casa da tè regnava un gran chiasso, sembrava di stare in una stalla. E a dir la verità, prima che fosse trasformata in casa da tè, una stalla lo era davvero. Sul portone al pianoterra erano montati due oggetti metallici scuri e rotondi, a forma di ferro di cavallo. Prima di entrare, Li Baoyi ci passava sempre sopra la mano.
Per via della sua vicinanza all’ippodromo, la casa da tè Morris era una sorta di centro di smistamento per chi si occupava di giornalismo scandalistico. Nelle belle giornate, guardando dalla finestra che dava a nord, si riuscivano persino a distinguere, affisse ai botteghini accanto alle tribune, le targhe con gli annunci dipinti a colori vivaci, con i numeri della lotteria, le quote. La folla non era ancora entrata nell’ippodromo, ma già tutti si accalcavano al portone dello Shanghai Race Club. Li Baoyi osservava da lontano la pista dell’ippodromo: nell’anello interno, sul tracciato di terra gialla che i cavalli da corsa usavano per l’allenamento mattutino, una puledra dal manto nero lucido condotta da un uomo si muoveva con indolenza sull’arena, lasciando cadere di tanto in tanto degli escrementi dalle natiche perfettamente tornite. Come se si trattasse di chissà che tesoro, uno stalliere si precipit a raccoglierli con un forcone per poi buttarli in una cesta di bambù. Li Baoyi sputò il gambo di una foglia di tè che gli era rimasto incollato alle labbra. In quel posto persino il tè sembrava piscio di cavallo.
Due giorni prima, all’alba di sabato, gli agenti del commissariato della Porte du Nord avevano rintracciato la sua abitazione. Lo avevano praticamente strappato al sonno, a quella soffitta da cui era impossibile lavare via l’odore di pesce fritto e sbattuto nel retro buio di una camionetta. Poi lo avevano agguantato di nuovo e rinchiuso dritto dritto in una cella dalle pareti di un bianco spettrale. E tutto perché la sera prima non aveva chiuso la porta di casa. Ma poi perché avrebbe dovuto farlo? In casa non c’era nulla di prezioso. Ma come avevano fatto degli sconosciuti a entrare così in grande stile dal cancello d’ingresso del vicolo, attraversare il cortile, aggirare le cucine e infine salire quelle scale di legno che cigolavano a ogni passo, il tutto senza mettere in allarme quella ficcanaso della vecchia che stava al pianterreno?
Già, ma quelli erano poliziotti. Una volta che avevano addosso l’uniforme, il numerino appiccicato al collo, il fischietto di rame e il manganello, chi li fermava più? Quando erano arrivati a tirargli via le coperte da sopra la testa, Li Baoyi dormiva ancora della grossa. Erano stati gentili, lo avevano invitato a vestirsi. Poi la camionetta, dopo aver girato e svoltato di qua e di là, si era fermata di fronte a un palazzo di mattoni rossi, e lui era stato spinto giù con una manata. Solo in quel momento si era davvero svegliato e aveva chiesto: ma voi chi siete? A quel punto non si erano più mostrati altrettanto gentili, tanto che uno di loro aveva allungato il braccio e gli aveva assestato un bel ceffone sulla nuca.
Il tizio nella stanza lo conosceva: era il sergente Cheng, del commissariato della Porte du Nord. Lo conosceva bene, Cheng il Butterato: avevano fatto parte entrambi della Banda Verde, era un delinquente proprio come lui, con la differenza che lui era diventato un pezzo grosso. Li Baoyi aveva azzardato qualche frase di circostanza, tirando in ballo i vecchi compagni: ma l’altro, senza nemmeno ascoltarlo, lo aveva aggredito a calci e pugni. Alla fine, dolorante come se si fosse rotolato su una tavola chiodata, Li Baoyi si era rassegnato a raccontare tutto per filo e per segno al sergente Cheng. Lui non ne sapeva niente. Prima della sparatoria non aveva idea di quel che sarebbe successo, altrimenti avrebbe avvertito senz’altro la polizia, era un cittadino per bene, lui.
Bene, ammettiamo pure che fosse un cittadino per bene, bisognava per dire anche che non aveva fegato. E poi aveva ricevuto la soffiata che quella mattina, al molo di Jinliyuan, sarebbe successo qualcosa di grosso. La telefonata anonima era arrivata alle sette del mattino: come mai a quell’ora era già in redazione? Perché non era affatto rientrato a casa, aveva passato tutta la notte al tavolo da mahjong. E come mai aveva dato credito a una telefonata anonima? E perché i giornalisti delle altre redazioni avrebbero dovuto credergli?
Questo non sapeva spiegarlo – e qui gli avevano affibbiato un altro spintone sulla schiena. Davvero, non sapeva spiegare il perché di tanta fiducia. Forse era il tono della voce, al telefono il suo interlocutore parlava con una tale serietà, aveva l’impressione che dalla cornetta uscisse un’aria gelida. D’accordo, ma come aveva fatto a convincere anche gli altri giornalisti? Molto semplice – e qui gli era arrivato un altro pugno sulla nuca, agli uomini del sergente Cheng non andava a genio quel tono sbarazzino. In fin dei conti i giornalisti non erano forse fatti così? A quelli là bastava sentire un alito di vento, ed eccoli tutti quanti annunciare già la pioggia.
*Xiao Bai è lo pseudonimo, assunto per motivi non politici, di un quarantenne di Shanghai che dopo aver scritto su blog e riviste ha pubblicato saggi e il romanzo Game point.