Dai tg e dai programmi Mediaset è ripartita l’offensiva ‘innocentista’ sui due fucilieri Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, accusati dell’omicidio dei pescatori indiani nel 2012. A colpi di servizi video, si cerca di dimostrare che gli spari mortali partirono da un’altra nave. Ma il teorema non regge. Ecco perché
Nelle ultime settimane la vicenda dei due marò trattenuti in India con l’accusa di omicidio ha visto, almeno in Italia, un’apparente svolta decisiva. Toni Capuozzo, vice direttore del Tg5 ed inviato di guerra di comprovata esperienza, ha ridato forza alle tesi complottiste che nei mesi precedenti accusavano le autorità indiane di muoversi secondo “teoremi di colpevolezza”, manipolando prove e dati ufficiali per incastrare Salvatore Girone e Massimiliano Latorre in un crimine che non avevano commesso.
Ignorando un anno e mezzo di indagini, sentenze della Corte suprema, dati oggettivi ed esami balistici accettati anche dalle istituzioni italiane e, soprattutto, le ammissioni di presunta colpevolezza a carico del nucleo di protezione a bordo dell’Enrica Lexie contenute nel rapporto interno della Marina italiana redatto dall’ammiraglio Piroli (pubblicato nel mese di aprile in esclusiva su Repubblica), in alcuni servizi trasmessi dal Tg5 e da TgCom – ripresi con entusiasmo da Il Giornale e da Libero – Capuozzo ha presentato in prima serata ai telespettatori italiani un’altra verità circa gli spari che il 15 febbraio 2012 uccisero Ajesh Binki e Valentine Jelastine, due pescatori a bordo del peschereccio St. Anthony.
La tesi di Capuozzo, mutuata dalle “indagini parallele” provenienti da ambienti dell’estrema destra italiana già ampiamente smentite in passato, sostiene che a sparare contro il peschereccio indiano non furono i fucilieri del reggimento San Marco, ma i contractor a bordo della petroliera greca Olympic Flair, attraccata a poche miglia dal porto di Kochi.
La pietra angolare della tesi del complotto è un estratto dell’intervista a caldo rilasciata la notte del 15 febbraio da Freddy Louis, capitano della St. Anthony. Freddy, visibilmente scosso, nel video esordisce dicendo di aver sentito un forte rumore “alle 21:30”, di essersi svegliato di soprassalto ed aver visto Jelastine ferito a terra, il peschereccio bersagliato di colpi provenienti da una “grossa nave rossa e nera”.
Le sue parole, tradotte dal malayalam, fissano l’orario della morte di Binki e Jelastine alle 21:30, mentre i marò – secondo gli inquirenti indiani – hanno sparato contro il St. Anthony alle 16:30, cinque ore prima. Evidentemente, sostiene Capuozzo, ad uccidere i due pescatori è stato qualcunaltro; forse i contractor dell’Olympic Flair, che alle 22:20 denuncia alle autorità un tentato abbordaggio da parte di una ventina di “ladri”.
Nonostante i greci abbiano già chiarito di non aver mai sparato un colpo – pare i contractor a bordo fossero disarmati – Capuozzo ipotizza che i pescatori innocenti siano caduti nel mezzo del fuoco incrociato tra l’Olympic Flair e quelli che lui descrive come “pirati”.
Partendo da questo punto, Capuozzo mostra una mail spedita dall’Enrica Lexie alle 19:16 in cui il capitano Vitielli denuncia alle autorità internazionale anti-pirateria (a Londra e nel Corno d’Africa, non in India) il respingimento di una sospetta barca di pirati avvenuto alle 16:30.
È una denuncia spontanea, dice Capuozzo, poiché “il primo contatto” tra la Guardia costiera indiana e la petroliera italiana avviene molto più tardi, per email, alle 21:36.
I marò, innocenti ed in buona fede, si sarebbero messi a disposizione degli indiani per chiarire la dinamica dei fatti. E gli indiani li hanno incastrati.
Ecco, banalmente si tratta di un mucchio di mistificazioni, fumo negli occhi a rintuzzare l’ala complottista italiana. Senza affidarci alle tesi indiane – che secondo Capuozzo e i suoi sono viziate da pregiudizio di colpevolezza – proviamo a ricostruire tutto usando il buon senso e gli stessi documenti a disposizione del giornalista del Tg5.
UNA DICHIARAZIONE IN STATO DI SHOCK
Il video utilizzato da Capuozzo è un estratto di un servizio andato in onda su Venad News, canale d’informazione del Kerala, ed effettivamente pare proprio che Freddy dica “21:30”, la traduzione è stata confermata da amici fluenti in malayalam. Ma la stampa indiana non ha mai riportato questa versione, così ci è venuto il dubbio che si trattasse di un abbaglio, di una tara messa alle dichiarazioni di una persona in completo stato di shock (Freddy arriva in porto alle 23, balbetta, mischia malayalam e tamil, ripete più volte le stesse frasi).
Perché non riportare per intero le dichiarazioni di Freddy? Probabilmente perché a tutti era noto che in quel momento il capitano stava straparlando, considerando il fatto che la stampa indiana era al corrente degli spari contro il St. Anthony almeno dalle 20, ora in cui il Times of India pubblica la breaking news sul peschereccio indiano, senza ancora essere in grado di indicare l’Enrica Lexie come sospettata numero uno.
Le indagini erano ancora in corso e, a beneficio dei complottisti, ricordiamo che l’Olympic Flair avrebbe denunciato il tentato abbordaggio solo alle 22:20, due ore e venti più tardi. Quindi o la stampa indiana ha il dono della preveggenza, oppure le parole in stato di shock di Freddy sono da prendere con le pinze.
L’ENRICA LEXIE NON ERA IN BUONA FEDE
Capuozzo dice: l’Enrica Lexie aveva denunciato tutto spontaneamente alle 19:16 ma gli indiani non avevano risposto all’allarme. Solo alle 21:36, avvertita immediatamente (?!) da Freddy alle 21:30 via radiotelefono che qualcuno aveva sparato addosso al peschereccio, la guardia costiera indiana decide di incastrare l’Enrica Lexie, spedendo una mail in cui si intima al capitano di invertire la rotta e fare rapporto a Kochi, incolpandola poi per un crimine commesso dall’Olympic Flair.
Ma nella mail della Guardia costiera, una delle prove mandate in onda al Tg5 a favore dell’innocenza dei marò, il funzionario indiano esordisce scrivendo “refer to telecon todate at around 1330 hrs utc”, ovvero “in riferimento alla comunicazione via telefono (probabilmente un contatto radio) avvenuta alle 13:30 tempo coordinato universale”, l’orario di Greenwich al quale dobbiamo aggiungere cinque ore e mezza per il fuso indiano, ottenendo le 19 ore locali.
Significa che le autorità indiane non solo si erano già messe in contatto con la Lexie – essendo state avvertite per tempo dell’incidente del St. Anthony – ma l’avevano fatto addirittura prima che la petroliera italiana diramasse l’allarme alle autorità anti-pirateria internazionali: la mail delle 19:16 è una risposta – tardiva e in malafede – al contatto radio con la Guardia costiera indiana.
Insomma, siamo tornati alla “narrazione tossica”, la manipolazione di prove parziali per far tornare i conti di tesi precostituite, di teoremi di innocenza a priori sbandierati senza il minimo fact-checking.
È un giochino pericoloso che fomenta critiche gratuite alle autorità indiane “che si accaniscono” e a quelle italiane, vigliacche nell’essersi vendute l’onore e l’innocenza dei marò per non infastidire il gigante indiano.
Dare adito a tesi inconsistenti – provenienti da ambienti già provati inaffidabili – non aiuta i marò e non aiuta chi segue la vicenda; aiuta solo chi vuole nascondere la verità.
[Scritto per l’Espresso online; foto credit: lettera43.it]