Shanghai potrebbe diventare la prossima piattaforma del commercio globale in Asia. Lo ha deciso il governo di Pechino, che vuole ridimensionare il ruolo di Hong Kong nel settore economico e finanziario. Shanghai, tornerà a essere la "porta della Cina" e il motore della nuova fase dell’economia cinese? Shanghai creerà una zona pilota di libero scambio al suo interno, un porto franco dove saranno liberalizzati i flussi di capitali e lo scambio di merci transfrontaliere. Lo ha deciso mercoledì il Consiglio di Stato cinese (il governo), secondo quanto dicono i media locali.
In prospettiva, verrà sperimentata la piena convertibilità del renminbi , i tassi di interesse saranno lasciati fluttuare secondo le leggi di mercato, verranno introdotti “prodotti finanziari innovativi”, le imprese potranno raccogliere capitale dall’estero e sarà lecito investire in titoli stranieri.
In pratica, è il tentativo di trasformare la metropoli sullo Huangpu in uno dei principali centri finanziari del mondo, in un esperimento che assomiglia molto alla creazione di “zone economiche speciali” all’epoca di Deng Xiaoping. Un’impresa aggiornata alla finanziarizzazione contemporanea dei mercati globali. Il Consiglio presieduto dal premier Li Keqiang, ha infatti comunicato in una nota che Shanghai sarà l’istantanea di una “economia cinese aggiornata”.
È anche un modo per uscire dall’impasse economico, il rallentamento che sta vivendo l’economia cinese. Appare infatti evidente che il nuovo volto di Shanghai servirà ad attirare i capitali di cui il Dragone ha bisogno per riconvertire la propria economia. Il passo è prudente, circoscritto, perché la leadership di Pechino non vuole attirare anche la grande speculazione internazionale.
Ed è anche un modo per restituire alla città il ruolo che ha sempre avuto: una “porta” della Cina sul mondo, per quella che negli anni Trenta era definita “la Parigi d’Oriente”. Più che a Parigi, oggi si guarda a Hong Kong, e Shanghai diventerà probabilmente la maggiore concorrente del porto franco già colonia britannica.
“La scelta aiuterà la Cina ad acquisire nuovi vantaggi nella competizione globale”, dice la nota del governo. “Aiuterà a costruire una nuova piattaforma per la cooperazione economica con altri Paesi e a spianare la strada per un’ulteriore crescita economica”.
Inizialmente, Shanghai intende potenziare e ampliare le sue quattro zone franche già esistenti: le merci potranno essere importate, lavorate e riesportate senza l’intervento delle autorità doganali.
Poi ci sarà l’ampliamento progressivo, con la liberalizzazione finanziaria che subentrerà nella seconda fase.
L’economia di Shanghai è cresciuta più lentamente di quella della maggior parte delle altre province e municipalità dal 2008 in poi e la grande ambizione di trasformare la metropoli in un centro finanziario globale entro il 2020 è stata spesso vista come pura utopia, dato il freno a mano costantemente tirato sul processo di riforme economiche.
Tuttavia, la nuova leadership di Xi Jinping e Li Keqiang sembra orientata verso il grande passo. Nel 2007, Xi ha avuto una breve esperienza a Shanghai come segretario del Partito locale, poco prima di entrare nel Comitato permanente del Politburo.
Yang Jianwen, un ricercatore presso l’Accademia delle Scienze Sociali di Shanghai, ha dichiarato al South China Morning Post che “la zona di libero scambio potrebbe comportare enormi cambiamenti nel commercio dell’Asia-Pacifico e nel mondo della finanza. I funzionari di Shanghai hanno una visione a lungo termine e stanno elaborando un progetto di sviluppo della città che sarà messo in pratica tra il 2014 e il 2049”.
Il Post, giornale di Hong Kong, dà molta enfasi al progetto Shanghai e sembra comprensibilmente preoccupato: “Le ambizioni di Shanghai di diventare motore economico della nazione, scavalcando Hong Kong come centro finanziario leader nella regione, sono un segreto di Pulcinella. L’incentivo politico tanto atteso e concesso dal governo può solo aggiungere peso ai tentativi della città di attirare capitale e talenti globali”.
Una competizione viziata dalla potenza di fuoco messa in campo dalle autorità politiche, insomma, che rischia di ridimensionare di parecchio il ruolo internazionale di Hong Kong.
Qu Hongbin, capo economista per la Cina presso HSBC, ha detto che il volume degli scambi nelle zone franche di Shanghai è stato superiore ai 100 miliardi di dollari lo scorso anno, pari al 3 per cento del valore totale delle transazioni nella Cina continentale. Lee Wee Liat, di BNP Paribas Securities, sostiene invece che l’approvazione del porto franco rilancerà l’economia di Pudong (la zona di maggiore sviluppo economico della città) così come di Shanghai nel suo complesso, ma che per l’attuazione completa del piano “ci vorrà del tempo, almeno 10 anni”.
Il Consiglio di Stato auspica di espandere in una seconda fase l’esperimento della zona di libero scambio a tutto il Paese, con Shanghai come prefigurazione di un futuro in cui l’economia cinese sarà trainata dalla finanza. “Trainata” o “fagocitata”? Il punto è come sempre quello di veicolare il flusso di capitali verso l’economia reale e non verso le bolle speculative.
Per ora, gli analisti dicono che liberata dalle autorità doganali e dalle autorità di regolamentazione finanziaria, Shanghai può diventare un magnete per gli investimenti delle imprese di livello mondiale.
[Scritto per Lettera43; foto credits: forbes.com]