Un’indagine antitrust sui principali produttori stranieri di latte in polvere. La Cina accusa marchi come Mead Johnson, Wyeth, Dumex, Abbot Labs, Frisco, ma anche Nestlé e Danone, di aver fatto lievitare troppo i prezzi. Un colpo per le multinazionali che controllano la metà del mercato dei beni caseari in Cina. La Cina si prepara a lanciare un’indagine antitrust su alcuni produttori stranieri di latte in polvere. Lo riferisce la rivista finanziaria Caijing. Tra i marchi al centro delle indagini, Mead Johnson, Wyeth, Dumex, Abbott Labs, Frisco, a cui si aggiunge il brand locale Biostime. Ma anche le più note Nestlé e Danone.
Le aziende sono accusate di aver venduto le formule di latte in polvere a prezzi maggiorati in Cina. Stando alle dichiarazioni dell’ufficio antitrust della Commissione Nazionale per lo Sviluppo e le Riforme – l’agenzia governativa di pianificazione economica – le compagnie indagate avrebbero aumentato i prezzi del 30% dal 2008, violando le leggi cinesi antimonopolio, manipolando i prezzi all’ingrosso e al dettaglio e ostacolando la concorrenza.
Il 2008 aveva visto per la prima volta uno scandalo alimentare sulle prime pagine di tutta la stampa cinese, con una reazione dei consumatori decisamente preoccupata. Era l’anno delle Olimpiadi e il latte in polvere alla melamina aveva portato alla morte almeno sei bambini e aveva causato problemi renali a circa 300mila neonati. Ancora oggi, nonostante gli sforzi del governo cinese per risolvere i problemi legati alla sicurezza alimentare, sono in molti che dalla terraferma vanno ad Hong Kong solo per comprare latte in polvere.
Secondo i dati dell’ufficio antitrust, in Cina i prezzi del latte artificiale per bambini sono lievitati del 60% proprio a seguito di quello scandalo. Le statistiche hanno dimostrato come negli stessi anni la quota di mercato dei marchi stranieri sia balzata dal 30% al 60%, raggiungendo un picco massimo del 90% nel 2009.
Il governo cinese ha intensificato l’attività di monitoraggio sulle formule di latte in polvere importate, migliorando al contempo gli standard di sicurezza dei prodotti caseari nazionali. I punti del piano di riassestamento del governo, annunciato dal premier Li Keqiang dopo l’ultimo scandalo del maggio scorso, prevedono azioni quali conformare le modalità d’allevamento dei bovini da latte, introdurre regolamentazioni per la vendita online, considerare il latte in polvere alla stregua di un medicinale, progettando un sistema di identificazione, autenticazione e tracciabilità per ricondurre il prodotto al produttore e, infine, chiudere il mercato ai nuovi marchi, per garantire un maggiore controllo sulla produzione.
La risposta delle borse non si è fatta attendere. Le azioni di Mead sono calate del 5,7% martedì e Danone ha perso l’1,5%, mentre Abbott e Nestlé sono scese di meno. Le azioni di Biostime sono scese dell’1% a Hong Kong, mentre FrieslandCampina ha retto bene.
I consumatori comunque avevano già preso i propri provvedimenti. Il Wall Street Journal riporta l’esperienza di una madre cinese che spende oltre 40 euro per ogni confezione di latte in polvere. E come lei devono essere in molti. Si pensi che nel tentativo di calmare i timori di una possibile penuria di latte in polvere a Hong Kong, a marzo è entrato in vigore un regolamento che prevede un limite massimo di due barattoli sulle esportazioni di latte in polvere. I trasgressori vengono multati di circa 70 euro. E provvedimenti simili sono in vigore in Australia e in Gran Bretagna. Inoltre negli ultimi anni in Cina si è sviluppato un vero e proprio mercato nero di latte in polvere di contrabbando.
Il mercato del latte in polvere della Cina ha raggiunto circa 10 miliardi di dollari in termini di vendite totali dello scorso anno (dati della società di ricerca di mercato Euromonitor International) e le aziende straniere rappresentano circa la metà dei rivenditori. Non c’è da stupirsi che i leader cinesi abbiano espresso il desiderio di rafforzare l’industria casearia cinese.
[Scritto per Lettera43; foto credits: yimg.com]