Da ieri i petizionisti di tutta la Cina non dovranno più affrontare viaggi lunghi mesi per arrivare nella capitale. Per presentare una petizione, basterà compilare un modulo sul sito di un’agenzia del governo. Peccato che il sistema abbia avuto subito problemi tecnici. Da secoli, Pechino ha offerto al popolo – anche quello che risiedeva nelle più lontane periferie dell’Impero – la possibilità di portare le proprie rimostranze e di testimoniare su ingiustizie subite di fronte alle autorità competenti della capitale, spesso lo stesso imperatore.
Si chiamano “petizionisti” (shangfangzhe) e sono coloro che, dopo aver affrontato un viaggio che può durare mesi, si inginocchiano di fronte all’autorità centrale e la supplicano di ascoltarli e di riparare un torto subito chissà dove. Bene, da ieri non hanno più bisogno di affrontare tante traversie, ma potranno comodamente compilare un modulo online.
Xinhua ne ha dato notizia ieri sera. L’ufficio competente (in inglese State Bureau of Letters and Calls) ha creato sul suo sito una sezione speciale in cui sarà possibile per gli internauti iscriversi e inviare le proprie richieste.
D’ora in poi sarà qui che – come recitano le parole dell’agenzia di stampa – “si potranno presentare i propri reclami su diritti ignorati e abuso di potere da parte di autorità, aziende o istituzioni pubbliche”. Sempre secondo il comunicato stampa si potranno anche commentare e consigliare le suddette istituzioni e i loro impiegati. Il funzionario a capo dell’ufficio preposto, Shu Xiaoqin, ha dichiarato in conferenza stampa che gli organi preposti devono sempre di più considerare l’impiego della tecnologia legata a internet e che bisogna continuare a lavorare sull’efficienza del sito in modo che sia “sempre più facile per i petizionisti far sentire la propria voce”.
Peccato che, seppure nessun organo di stampa cinese lo abbia riportato, il sito non abbia funzionato fino alla tarda mattinata di oggi. La notizia è rimbalzata sui social media cinese, Weibo – il twitter cinese – in primis, favorendo critiche e facili sarcasmi. “Scusate! Weibo ha portato troppi persone su questa pagina” ha scritto dal su account seguito da 46 milioni di follower Li Kaifu, amministratore delegato di Innovation Works. Ed è stato tra i più comprensivi.
Sui social network le critiche si sono scatenate, in molti erano già convinti che il sito non avrebbe retto la moltitudine di petizioni e c’è stato anche qualcuno che ha assunto che il crollo del sito il giorno della sua inaugurazione fosse un segno di non sincerità da parte del governo. Come se fosse una trovata 2.0 per il servizio d’ordine clandestino messo in moto dai governi locali che ha sempre impedito ai poveri di petizionisti di arrivare alla capitale (ricordiamo i frequenti scandali di petizionisti picchiati e rispediti a casa o addirittura imprigionati nelle cosiddette black jail).
Inoltre l’obbligo di registrazione attraverso il numero di carta di identità, l’obbligo di utilizzare solo il browser Internet Explorer e la possibilità di allegare solo fio a due mega di materiale hanno scatenato importanti dubbi sull’efficacia del sistema. Addirittura un editoriale del Quotidiano del popolo, l’organo ufficiale del Partito comunista cinese, ha posto la questione se quest’informatizzazione del sistema di petizioni non sia l’ennesimo modo dei governi locali per impedire ai contadini di arrivare a Pechino per lamentarsi del loro comportamento. È anche da sottolineare che il numero che compare sul sito sembra non essere stato ancora attivato.
Inoltre diversi avvocati e petizionisti intervistati dal quotidiano di Hong Kong South China Morning Post hanno espresso l’opinione che quelli delle petizioni sono argomenti troppo delicati per non essere trattati di persona. E che soprattutto la Repubblica cinese, più che di un nuovo sito ha bisogno di un nuovo sistema legale forte e credibile.
[Scritto per Lettera43; foto credits: theepochtimes.com]