India – L’origine antropica del disastro dell’Uttarakhand

In by Simone

Le conseguenze del violento nubifragio che ha stravolto la regione dell’Uttarakhand e i pareri degli ambientalisti indiani, sulle responsabilità umane della tragedia che ha prodotto più di cinquemila vittime in alcune delle zone più sacre del subcontinente. Il 15 Giugno, poco prima dell’alba, un impetuoso nubifragio imperversava sulle regione himalaiana dell’Uttarakhand. Le previsioni del tempo avevano annunciato 36 ore di precipitazioni, ma l’incessante piovasco cominciato quella notte durò ben oltre, tanto da far pensare ad un arrivo anticipato del monsone estivo. Quando da un varco nel cielo uscì di nuovo il sereno, due giorni e mezzo dopo, il fiume Gange e lo Yamuna avevano già spazzato via ad un’incredibile rapidità case, alberi, animali e centinaia di automobili che si trovavano intorno al suo corso. 

Impressionanti le devastazioni, incalcolabile il numero di vite umane spezzate dalla furia delle acque, dalla fame che ha colpito i dispersi e dalle conseguenti malattie generate dalla massiccia presenza di cadaveri sul fiume, che hanno reso le sue acque velenose. Secondo i quotidiani locali indiani, le vittime hanno superato le cinquemila unità e potrebbero raggiungere addirittura le diecimila.

Le zone montuose colpite dall’alluvione sono alcune tra le più sacre del subcontinente, il Char Dham: Gangotri, Yamunotri, Kedarnath e Badrinath, le sorgenti dei fiumi sacri che sostentano la vita di mezzo miliardo di persone. Ogni anno migliaia di pellegrini provenienti dai quattro angoli dell’India affrontano ore di viaggio e di cammino per raggiungere i templi più importanti, prima dell’arrivo del monsone. Alcuni di questi luoghi situati in aree remote, come la valle del tempio di Kedarnath, sono diventati degli autentici teatri di morte. Tutto, eccetto il tempio, è stato spazzato via dalle violentissime piogge. 

Secondo il Dipartimento Meteorologico dell’India (IMD), le precipitazioni del 17 giugno hanno raggiunto i 340mm, quando l’ammontare di 150mm di precipitazioni in un giorno è già considerato dai climatologi una cifra limite. E mentre le operazioni di salvataggio continuano nelle località dove i pellegrini sono ancora dispersi, la stampa nazionale punta il dito contro la carente gestione dell’emergenza da parte delle autorità locali e generalmente contro il business del turismo religioso, che negli ultimi anni ha dato vita ad una speculazione edilizia selvaggia in barba ad ogni precauzione.

"Le infrastrutture intorno al Gange si sono moltiplicate in maniera incredibile negli ultimi anni. Il turismo è aumentato, i visitatori si sono fatti più esigenti e così le strutture si sono proliferate" ha affermato Rajiv Bhartari, supervisore dell’eco-turismo in Uttarakhand. "Questa è una tragedia che ci stavamo aspettando" ha dichiarato Satyabrata Dam, esperto di avventure e trekking nelle montagne himalaiane, in un’intervista al quotidiano The Hindu. “Ecologicamente questi eventi possono essere considerati come atti di ribilanciamento della natura, ma le responsabilità sono di noi umani. Per sostenere un numero tale di turisti servono infrastrutture adeguate. Come si possono costruire degli edifici sul letto dei fiumi? Come si possono costruire delle strutture su dei declivi?" si è chiesto Dam.

"L’Himalaia è la catena montuosa più giovane del mondo: sensibile ad erosioni, frane, attività sismiche e acquazzoni brutali. Ogni volta che in India accade un disastro naturale ci troviamo impreparati. Non abbiamo ancora imparato a fare nulla per pianificare la situazione in anticipo. Negli ultimi anni il governo dell’Uttarakhand si è interessato soltanto a sfruttare le risorse naturali: siano esse acqua, foreste o minerali, senza calcolare le conseguenze di queste attività. Lo sviluppo é stato portato avanti senza alcune attenzione per le norme. Non sono gli alluvioni ad uccidere, ma gli edifici e le pianificazioni sbagliate." ha descritto Sunita Narain, in un’editoriale nel magazine ecologista che dirige, Down to Earth. "La regione è tra le più vulnerabili e fragili del pianeta ed oltre ad essere minacciata da una sempre più forzata crescita economica, é messa a dura prova dalla realtà del cambiamento climatico."

Il regime di precipitazioni nella catena dell’Himalaya è di fatto cambiato radicalmente nel giro degli ultimi anni. Mentre in passato le piogge duravano diversi giorni a intensità piuttosto tenui, gli acquazzoni sono recentemente diventati dei fenomeni sempre più estremi ed improvvisi, devastanti nelle loro conseguenze.

"Non c’è nessun dubbio a mio avviso che l’aumento dell’imprevedibilità e dell’intensità degli acquazzoni sia una conseguenza del riscaldamento climatico, dovuto alla capacità dell’aria calda di ritenere più vapore acqueo. E’ successo l’anno scorso ad Uttarakashi, ed è successo quest’anno di nuovo. Ciò continuerà ad accadere sempre più frequentemente" scrive Nagraj Adve, in un editoriale sul The Hindu, connettendo l’origine del rabbioso alluvione alll’aumento della temperatura nella superficie del pianeta.

Di un parere simile Vandana Shiva, nota attivista ambientalista, secondo la quale il disastro dell’Uttarakhand "è una diretta conseguenza dell’ignoranza dell’uomo nei confronti dell’ecosistema del fragile Himalaia e della sua avidità nello sfruttare il ricco patrimonio naturale e culturale della zona. Dobbiamo ritrovare la riverenza per le nostre montagne e per i nostri fiumi sacri. Dobbiamo essere informati sulle moderne scienze ecologiche e non su un obsoleto modello di sviluppo come quello dell’Uttarakhand, che é il frutto di avidità e sfruttamento ed è l’origine di questo disastro. Ciò che è successo è una sveglia per arrestare questo stupro. Contrariamente a quanto affermano i politici, il disastro è chiaramente prodotto dall’uomo. La tragedia di Kedarnath è un disastro climatico".

*Scrittore, fotogiornalista e aspirante essere umano. Dopo una laurea in Scienze della Comunicazione e varie esperienze tra ONG internazionali, ha deciso di dedicarsi a raccontare il mondo. Viaggia prima in autostop senza soldi dall’Olanda al Brasile e poi in autobus da Venezia a Kathmandu, per ridurre la sua impronta ecologica. Si interessa di ambiente, Medio Oriente e India. Web: www.nicolazolin.it Tw: @ViaTerra_nz

[Foto credit: thehindu.com]