Undici anni di detenzione per una frode da circa 400 mila euro. Questa la motivazione ufficiale della condanna a Liu Hui. Una che fa discutere, perché Liu è cognato dell’attivista di Charta 08, Liu Xiaobo, premio Nobel per la pace 2010 oggi in carcere. E intanto i diritti civili sarebbero stati al centro del summit Obama-Xi. Undici anni di reclusione per un illecito immobiliare. Lui si chiama Liu Hui, è un uomo d’affari, e domenica è stato riconosciuto colpevole da una corte di Pechino di avere frodato un uomo per il valore di 3 milioni di yuan (370mila euro) durante una transazione. In questo caso, la massima pena prevista dalla legge cinese è di dieci anni, ma i giudici possono aumentarla a propria discrezione.
Raccontata così sembrerebbe una storia minore, inserita nel giro di vite anticorruzione lanciato dal presidente Xi Jinping nell’autunno scorso. Il quadro cambia, tuttavia, quando si apprende che Liu Hui è cognato di Liu Xiaobo: il premio Nobel già attivista pro-democrazia in prigione dal 2009 con una condanna a undici anni per incitamento alla sovversione dello Stato.
Liu Xiaobo, scrittore e docente, ha vinto il Nobel nel 2010, quando si trovava già in carcere. La condanna è collegata al suo coinvolgimento nella scrittura di Charta 08, una petizione a favore di riforme politiche in Cina in direzione di una liberaldemocrazia di stampo occidentale. Il comitato del Nobel ha giustificato l’assegnazione del premio a Liu per “la sua lunga e non violenta lorra per i diritti umani fondamentali in Cina”.
Liu Hui è il fratello di Liu Xia, la moglie del premio Nobel, che ora accusa l’apparato giudiziario cinese di perseguitare la propria famiglia. Lei stessa è confinata agli arresti domiciliari nella sua casa di Pechino, senza connessione telefonica o internet. Ad aprile, le è stato concesso di uscire una prima volta per assistere all’apertura del processo al fratello. Anche domenica ha potuto recarsi all’udienza in cui è stato letto il verdetto e la donna ha quindi rilasciato alcune dichiarazioni ai media e agli attivisti presenti sul luogo.
“Come possono dare una condanna a 11 anni? Non lo so. Non regge assolutamente. Forse questo Paese è impazzito, o ci odiano così tanto?”, ha detto la donna in lacrime. “Non posso assolutamente accettarlo – ha aggiunto – questa è una persecuzione”. Liu Xia, ha anche detto che suo fratello ha perso parecchio peso in detenzione.
Gli avvocati della famiglia dichiarano che la condanna è “anomala” anche per gli standard cinesi. Spiegano che Liu Hui e un socio sono stati accusati di essersi intascati i 3 milioni di yuan che sarebbero invece spettati a un altro partecipante alla transazione. Il denaro sarebbe però stato restituito in seguito. La polizia – raccontano i legali – aveva cominciato a indagare sul caso nell’autunno scorso, ma poi l’aveva archiviato. Tuttavia le accuse sono state rinnovate all’inizio di quest’anno.
L’avvocato Mo Shaoping ha affermato che “la sentenza si basa su prove insufficienti ed è completamente ingiusta”, aggiungendo che Liu Hui farà appello.
L’artista-dissidente Ai Weiwei, ha ironicamente commentato in un post su Twitter che la condanna è in realtà di 22 anni, sommando nel computo quella inflitta a Liu Hui a quella che sta scontando Liu Xiaobo. Ha inoltre invitato il popolo cinese a “insorgere”, perché solo così potrà vincere un “premio Nobel” (altro chiaro riferimento alle due vicende).
La condanna arriva proprio in contemporanea con la conclusione del meeting californiano tra il presidente Xi Jinping e il corrispettivo Usa, Barack Obama. Un meeting informale, “per conoscersi meglio”. In quell’ambito, riportano i media occidentali, Obama avrebbe fatto pressioni su Xi a proposito del rispetto dei diritti civili in Cina. È una formula sempre più di rito e sempre meno di sostanza: la questione dei diritti umani resta sempre più un “non detto” nel dialogo tra le due superpotenze, se non quando si tratta di tirarsi qualche reciproca stilettata per ben altri interessi.
[Scritto per Lettera43; foto credits: lefigaro.fr]