Con il #35maggio (ebook acquistabile qui), China Files inizia la sua collaborazione con BeccoGiallo editore per la collana Memory Pills, brevi e ficcanti testi accompagnati da un’immagine d’autore e inseriti un contenitore dal quale attingere quando i ricordi stanno per svanire. La prima uscita è sui fatti di piazza Tian’anmen. L’anteprima.
Ventiquattro anni di silenzio di stato. Circa duecento gli studenti morti in piazza accertati, ma si pensa siano stati dieci volte tanti. Zhang Xianling e Ding Zilin hanno ormai superato i settant’anni ma sono rimaste lucide nonostante il dolore, l’umiliazione e la rabbia. Nel 1991 hanno fondato le Madri di Tian’anmen, il gruppo che raccoglie i famigliari delle vittime. Imprigionate, costrette agli arresti domiciliari e sottoposte a sorveglianza costante, dal 1995 ogni anno le madri di Tian’anmen presentano una petizione al governo. Chiedono che venga aperta un’inchiesta sui fatti del 4 giugno. Vogliono che sia ristabilita la verità storica e che i familiari delle vittime vengano risarciti. Ma soprattutto vogliono che la politica confessi i suoi errori. “Tutto ciò – come si legge nel documento – si può sintetizzare in tre parole: verità, risarcimento e responsabilità.” Fino a oggi, sono rimaste inascoltate.
Zhang Xianling ci racconta che suo figlio andava spesso a piazza Tian’anmen a sentire le discussioni degli universitari. All’epoca era solo uno studente delle scuole superiori, ma voleva capire. E poi gli piaceva andare in piazza a far foto.
“La sera del 3 giugno mio figlio era a casa. È uscito dopo le dieci, diceva che andava a “fotografare la verità della storia”. Qualcuno pensava che avrebbero sparato, ma molti non credevano si sarebbe arrivati a tanto. “Anch’io gli avevo detto che no, se non avevano sparato quando era al potere la Banda dei quattro, non l’avrebbero fatto nemmeno allora… Ancora mi pento.”
Wang Nan era quindi uscito in bici per fare qualche fotografia di fronte alla Sala del Popolo. La madre, che è costretta come le altri Madri a condurre le indagini a titolo personale e pure di nascosto, riferisce che alcuni testimoni le hanno raccontato che suo figlio Nan era stato ferito alla testa da un proiettile mentre ancora pedalava verso la piazza, ma non era morto subito. Gli studenti di medicina, che avevano organizzato il servizio di pronto soccorso con tanto di ambulanze, gli si erano avvicinati per accudirlo e portarlo all’ospedale. Le forze dell’ordine, però, non l’avrebbero consentito. “Un atteggiamento brutale, fascista. Anche in guerra è consentito salvare i propri feriti!”.
Così Wang Nan sarebbe morto a 19 anni per mancanza di soccorsi, il suo corpo sarebbe stato accatastato insieme ad altri in qualche punto di viale Chang’an e, solo all’alba, sepolto nei pressi della piazza. L’hanno poi trovato il 7 giugno, di fronte una scuola media del quartiere. Era insieme a diversi altri corpi e siccome cominciava a far caldo e la fossa non era profonda, l’odore di carogna cominciava a farsi sentire in maniera persistente. Il giorno prima aveva piovuto molto, e brandelli di vestiti cominciavano ad affiorare dal manto stradale.
Le autorità scolastiche avevano chiesto all’ufficio di sicurezza di bonificare l’area. Così li avevano disseppelliti. Nan era uno studente delle superiori e indossava la divisa scolastica. Secondo sua madre lo avrebbero portato in ospedale proprio per quella divisa, perché l’avrebbero scambiato per un soldato. In ospedale non gli avevano trovato i documenti, ma erano risaliti alla scuola di appartenenza. La scuola l’aveva avvisata e lei aveva trovato il corpo di suo figlio. Una fortuna nella disperazione di quei giorni.
Ad oggi, le madri di Tian’anmen hanno trovato e identificato circa duecento corpi, ma sono convinte che ne avrebbero dovuti trovare almeno dieci volte tanto. “Alcuni ospedali dicevano che ne avevano cinquanta o sessanta e noi ne abbiamo trovati solo cinque o sei. Altri ospedali dicevano [che ne avevano] trenta o quaranta, ma noi ne abbiamo trovati tre o quattro. Così ho stimato una proporzione di uno a dieci”. Bisogna considerare che ci sono moltissime persone che hanno ancora paura e non hanno mai dichiarato di avere un famigliare scomparso nella notte tra il 3 e il 4 giugno. Non dicono nulla perché nessuno glielo ha mai chiesto, secondo Zhang Xianling.
“Se nessuno ci avesse detto niente, non avremmo saputo chi era morto né dove andare a cercarlo. Sono convinta che molti altri lo farebbero non appena il governo chiedesse pubblicamente di dichiarare i morti del 4 giugno”. E inoltre i conti le tornano. Ricorda che la mattina del 4 giugno aveva ascoltato la radio, Voice of America le pare. Un volontario della Croce Rossa intervistato riportava le statistiche: circa duemila decessi nella notte.
Ma non sapremo mai se questi numeri corrispondono a realtà, un silenzio carico di tensione ha avvolto tutto ciò che riguarda quella notte rendendo impossibile separare la verità dalla rabbia, i ricordi e la disillusione di chi, inascoltato e osteggiato, non ha mai rinunciato a chiedere giustizia.
[L’illustrazione è di Paolo Castaldi per Becco Giallo editore]