SINOLOGIE – Italiani a Canton a metà dell’Ottocento

In by Simone

La tesi Presenza e attività degli italiani a Canton dalla prima guerra dell’Oppio al trattato di commercio e navigazione del 1866 esplora le poche testimonianze dei coraggiosi italiani che hanno vissuto o sono passati per Canton in quel quarto di secolo. Tra questi anche Giuseppe Garibaldi.
Il motivo della mia scelta di analizzare la presenza italiana a Canton e la nascita delle relazioni tra Regno d’Italia e Impero Qing, non è soltanto un omaggio ad una città con la quale ho instaurato un forte legame, ma ha radici più profonde. Canton ha rappresentato nel XIX secolo quasi il “microcosmo” dell’enorme apparato cinese: è al suo porto infatti che gli occidentali hanno attraccato in cerca di basi commerciali, è nella sua periferia che essi hanno risieduto per la prima volta, sperimentando sulla loro pelle la convivenza con una cultura così diversa e con una popolazione così fiera; è da Canton inoltre, che personalità straordinarie come Matteo Ricci e Michele Ruggeri hanno fatto il loro ingresso, arrivando a segnare una tappa importantissima per gli scambi culturali tra mondo occidentale ed Impero cinese. Infine, Canton rappresenta a mio giudizio anche l’altra Cina: quella lontana dagli sfarzi della corte di Pechino, relegata geograficamente ai margini del continente cinese, troppo spesso trascurata nei diari dei viaggiatori perché sicuramente meno attraente della Capitale, ma animata da una forte laboriosità e da un fiero spirito di aggregazione culturale.

Capoluogo della provincia sud orientale del Guangdong, Canton ha sempre attirato opportunisti: dai commercianti arabi durante la dinastia Tang, ai mercanti Occidentali del XVI secolo, ai cinesi di Hong Kong in tempi recenti,tutti giunti in città per far soldi.

Nel XIV secolo, con una popolazione di 150mila abitanti quasi equiparabile a quella di Pechino, fu fatta capitale della provincia del Guangdong ed importante centro governativo. Nel 1759, quando l’imperatore Qianlong decise di confinare il commercio con l’Occidente alla sola città di Canton, essa prosperò rapidamente, e all’inizio del XIX secolo divenne la più grande del Sud della Cina, la seconda dopo Pechino, nonché il porto più importante del Paese, con una popolazione di quasi un milione di unità.

Così come era avvenuto ai mercanti Arabi, anche gli Occidentali, o Diavoli stranieri, come erano denominati in senso dispregiativo all’epoca, erano tollerati ma tenuti a distanza, all’esterno delle mura di Canton, le loro vite e le loro attività commerciali confinate all’interno della zona delle factories, lungo il corso del Fiume delle Perle. Le navi straniere vi approdavano cariche di oppio, l’unica merce accettata e richiesta dai cinesi, in cambio di tè, seta e porcellane. Da Canton si diffusero nel vecchio continente articoli di avorio, o madreperla, legno di sandalo, che contribuirono a far accrescere l’apprezzamento e la domanda per gli articoli di gusto orientaleggiante.

I primi resoconti relativi al capoluogo del Guangdong sono portoghesi, i primi europei a raggiungere la città nel 1517. Seguirono altri esploratori come il commissario Peter Mundy, il quale giunse nel 1637 a bordo della prima nave inglese che tentò di avviare trattative commerciali con la Cina. Poco dopo arrivò la prima ambasciata della Compagnia delle Indie Orientali olandese, accompagnata da Jan Nieuhof, cronista ufficiale e disegnatore della missione. Il libro pubblicato da Nieuhof nel 1669 conteneva i disegni delle più antiche vedute di Canton e della Cina conosciute in Occidente. Oltre un secolo dopo, Lord Macartney condusse un’ambasciata per conto del sovrano inglese Giorgio III, verso l’Imperatore Qianlong, con la speranza di convincerlo ad aprire al commercio un maggior numero di porti. Tale viaggio, incluse le tappe a Canton e Macao, fu rigorosamente documentato in diari e disegni, anche se si concluse con un nulla di fatto, a causa di un "incidente interculturale".

Dal 1830 in poi si possono trovare dei documenti più particolareggiati ed accurati circa le abitudini di vita a Canton soprattutto ad opera dei missionari protestanti, che si stabilirono numerosi in città. I loro articoli e reportage iniziarono a circolare all’interno della comunità straniera grazie soprattutto alle nuove pubblicazioni occidentali. La prima opera in inglese sulla Cina fu del sovrintendente al commercio inglese in Cina, John Francis Davis, che risedette a Canton per oltre vent’anni. Davis comprendeva il cinese e i Cinesi e attraverso la sua opera, The Chinese: a Description of China and its Inhabitants, pubblicato nel 1836, dischiuse il favoloso mondo della Cina all’Occidente. Questo filone letterario fu presto arricchito dalle pubblicazioni degli Americani Oswald Tiffany e William Hunter, ma un discreto apporto fu dato anche da alcuni dei soldati coinvolti nelle due Guerre dell’Oppio e da rappresentanti consolari che si fermarono in Cina, per quanto evidenti sono i prestiti provenienti dalle prime opere.

Punto strategico tra la ex colonia britannica di Hong Kong e quella portoghese di Macao, Canton ospitò le delegazioni di mercanti stranieri nel periodo estivo, unico durante il quale erano permesse le attività commerciali, nel suo solo porto, al termine del quale gli stranieri erano costretti a ridiscendere il Fiume delle Perle e stabilirsi nel piccolo angolo d’Europa in Asia, Macao appunto. Tale organizzazione giunse al termine nel 1839 quando, esaurite sia a livello fisico che a livello finanziario, le autorità cinesi bandirono l’importazione di oppio, ponendo fine anche alle esportazioni di seta e tè. A questo divieto i britannici reagirono con l’invio di truppe a Canton, dando così il via alla Prima Guerra dell’Oppio (1839 – 1842) che terminò con la cessione della penisola di Hong Kong agli inglesi, facendo perdere il ruolo strategico che era stato fino ad allora di Macao.

Gli anni Sessanta dell’Ottocento segnano un vero e proprio spartiacque nella storia della Cina; la ratifica dei Trattati denominati "ineguali" ,che conclusero la seconda Guerra dell’Oppio (1856 – 1860) imposero l’apertura all’Occidente di aree sempre più vaste del Paese a partire proprio dal porto di Canton. La Cina veniva così messa nella condizione di non poter più reggersi solo sul sistema autarchico che l’ aveva caratterizzata nei secoli e sulla politica degli stati tributari nei confronti dei Paesi circostanti ed il risultato fu un radicale cambiamento politico e sociale in un sistema che esisteva da millenni.

Intanto nello stesso arco di tempo ma a migliaia di chilometri di distanza, un altro paese stava attraversando un periodo di forti stravolgimenti politici e sociali: l’Italia. Il bel paese, com’è noto, era in fermento per le guerre risorgimentali che lo avrebbero guidato verso l’unità nazionale, mentre la Cina, che aveva sempre avuto a che fare con rivolte interne e società segrete anti-dinastiche, combatteva invece con un nemico che proveniva dall’esterno e che subdolamente si stava insidiando sempre più nel profondo del suo territorio.

Le prime iniziative diplomatiche degli Stati Italiani pre-unitari furono caratterizzate sempre da una marcia in meno rispetto alle altre potenze europee: tra il 1748 e la Rivoluzione francese, infatti, i neonati Regno di Sardegna (già Ducato di Savoia) e Regno di Napoli (successivamente Regno delle due Sicilie), furono costretti ad impegnare le loro energie nell’attuazione di una serie di riforme interne, in risposta alla spinta illuminista, e a tenersi lontani dalle grandi manovre mercantili e coloniali che interessavano gli altri Paesi. Tuttavia la presenza di questi due Stati nei punti commercialmente più sviluppati del territorio cinese, Macao e Canton appunto, pur essendo attestata a partire dal 1816, non era ancora regolata da nessun accordo ufficiale con le autorità cinesi.

Caratteristica dei due consolati aperti a Canton nel 1816 e nel 1824 rispettivamente dal Regno di Sardegna e dal Regno delle Due Sicilie fu infatti quella di non essere ufficialmente riconosciuti dal governo Qing e di aver nominato consoli di favore alcuni sudditi della corona britannica. Costoro, mercanti privati inglesi in cerca di un metodo per aggirare il monopolio che la East India Company esercitava sul commercio a Canton, non godevano di nessun privilegio particolare ma attraverso la copertura consolare di un altro Stato che dava loro potere di rappresentare i propri interessi in Cina, avevano automaticamente facoltà di agire come liberi commercianti, tutelando anche gli affari del Paese da cui erano accreditati. La formalizzazione ufficiale delle relazioni diplomatiche e commerciali tra la Cina ed il neonato Regno d’Italia arrivò con la firma del Trattato di commercio e navigazione del 26 ottobre 1866.

Tra il XVIII e il XIX secolo comunque, a bilanciare la quasi totale assenza degli Stati italiani, intervennero ancora una volta le iniziative di privati cittadini. Si trattava principalmente di missionari, i quali guardavano alla Cina come l’area di maggiore interesse del continente asiatico in cui continuare l’opera di coloro che li avevano preceduti durante le dinastie Yuan e Ming. Tra questi ultimi spiccano le figure dei Gesuiti Matteo Ricci (1556 – 1610) e Michele Ruggeri (1543 – 1607), per i quali Canton segnò nel 1582 l’inizio di un capitolo importantissimo per la storia delle relazioni tra Occidente e Regno di Mezzo, che avrebbe visto in pochi anni padre Matteo Ricci accedere direttamente alla corte dell’imperatore Wanli.

Al di là delle figure appena menzionate però, non è stato facile addentrarsi nella ricerca di tutti quegli italiani, presenti o in transito a Canton nel XIX secolo per via della carenza di testimonianze scritte. Trattandosi di una città portuale, infatti, è presumibile che la maggior parte dei nostri concittadini, se si escludono diplomatici e missionari, non ebbe modo di soggiornarvi per lunghi periodi e la loro presenza fu pressoché sempre collegata ai traffici commerciali.

Tuttavia un elemento importante è quello della negativa influenza che l’indolenza e la lentezza dell’azione diplomatica e commerciale italiana ebbero sulla presenza dei nostri connazionali a Canton. Infatti, la mancanza di accordi extraterritoriali ed in generale di una tutela consolare, fece sì che per molti dei personaggi da noi investigati, la permanenza in Cina non fosse a lieto fine: emblematico è il caso del dott. Giovanni Borghesi (? – 1714), medico al seguito di una delegazione del regno di Sardegna, che nonostante il fallimento della sua missione volle restare in Cina per portare a termine l’ambizioso progetto di entrare a servizio dell’imperatore Kangxi.

Purtroppo non soltanto non riuscì nell’ impresa, ma nel 1710 fu anche bandito a Canton, dove rimase prigioniero per quaranta mesi. Le sofferenze vissute nel carcere cantonese, così come il dramma della malattia e le accuse nemmeno tanto velate nei confronti dei padri gesuiti, sono contenute nella lettera scritta dal carcere il 1°gennaio 1711, che purtroppo rappresenta anche il testamento del dottor Borghesi: egli infatti, venne trovato morto il 1° maggio 1714, anche se sulle cause del decesso non fu mai fatta piena luce.

Altro esempio è quello della triste vicenda che coinvolse un marinaio della nave commerciale americana Emily, Francesco Terranova. Questo giovane italiano nel settembre 1821 si trovò al centro di un vero e proprio incidente diplomatico (per utilizzare un termine moderno), che culminò con la sua condanna alla pena di morte per il sospetto omicidio di una donna nel porto di Whampoa, al termine di un ingiusto processo e dietro la minaccia delle autorità cantonesi di sospendere il commercio con gli americani. Il caso, pur riguardando un cittadino di origine italiana, è considerato materia strettamente statunitense, e come sottolineano tutte le fonti americane da me prese in esame, fu utilizzato come principale “giustificazione per lo stabilimento del sistema extraterritoriale statunitense in Cina”.

Molte e variegate sono quindi le vicende che videro protagonisti i nostri connazionali a Canton, alcune ingiuste, altre controverse e tutte accomunate anche dalla questione della carenza e spesso della conflittualità delle fonti. Tale problema riguarda anche la presenza a Canton di Giuseppe Garibaldi, l’Eroe dei Due Mondi, recatosi in Cina come comandante di una nave peruviana che trasportava guano per conto della ditta gestita a Lima da Pietro de Negri. Le sue attività non sono state ancora del tutto ricostruite dagli storici, in parte per la frammentarietà delle fonti, in parte per la loro contraddittorietà.

Ciò che si può stabilire con certezza è che Giuseppe Garibaldi, durante il suo secondo esilio (1849 – 1854), visitò diversi porti della Cina meridionale tra l’aprile e il settembre del 1852, trovandosi anche in transito a Canton. Se grande attenzione fu data alla sua presenza in città dalla stampa inglese, sembra che invece gli ambienti italiani – soprattutto quelli ecclesiastici – fossero rimasti più freddi. Nemmeno i documenti cinesi sembrano attribuire grande importanza alla sua permanenza in territorio cantonese e le uniche informazioni autobiografiche di cui gli storici dispongono, contenute nelle Memorie, non svelano particolari rilevanti.

La questione delle fonti, sia occidentali che cinesi, è sicuramente l’aspetto più complesso, ma anche più affascinante della presente ricerca. Forse gli interrogativi rimasti irrisolti forniranno un ulteriore stimolo a proseguire l’indagine, per continuare a raccontare la storia e le vicende di tanti coraggiosi personaggi.

*Giulia Falato
giulia.falato[@]gmail.com è nata e ha studiato a Roma. Laureata nel 2009, ha insegnato italiano prima alla Guangdong University of Foreign Studies di Canton e poi alla Peking University. Durante i 4 anni di vita a Pechino, ha anche collaborato a diverse pubblicazioni sulla didattica dell’italiano ai cinesi e lavorato come interprete, traduttrice ed organizzatrice eventi. Ora è temporaneamente a Roma dove insegna cinese all istituto Confucio dell’università la Sapienza e dove ha fondato un’associazione culturale con delle colleghe universitarie per promuovere la conoscenza e l’integrazione linguistica e culturale tra Italia e Cina. 

**Questa tesi è stata discussa presso l’Università d Roma La Sapienza. Relatore: prof. Federico Masini; correlatore: prof. David Armando

[La foto di copertina è di Federica Festagallo]