Aiuto o castigo?

In by Gabriele Battaglia

Fa discutere la chiusura del conto della nordcoreana Foreign Trade Bank da parte della Bank of China, importante istituto di credito Oltre Muraglia. Secondo alcuni è una scelta di allineamento alla linea dura degli Usa contro Pyongyang. In Cina, rimane il dubbio: aiutare  la Corea del Nord o affamarla ulteriormente? La Bank of China ha chiuso con scelta unilaterale il conto domiciliato presso i propri sportelli della nordcoreana Foreign Trade Bank, già colpita dalle sanzioni statunitensi a marzo perché accusata di finanziare il programma nucleare di Pyongyang. L’ha comunicato un portavoce dell’istituto di credito cinese, controllato dallo Stato.

La scelta della Zhongguo Yinhang appare significativa: è la prima azione di Pechino che va concretamente a colpire il regime nordcoreano nei suoi interessi economici. La Cina, ricordiamolo, è il maggiore partner commerciale delle Corea del Nord e il principale alleato. Le interpretazioni però divergono: secondo alcuni, Pechino si allinea alla politica Usa, quasi subendola, forse per timore che le sanzioni colpiscano anche i propri interessi economici in America; secondo altri, la Cina sfrutta invece ad arte le misure di Washington per mandare un segnale in proprio allo scomodo protégé.

Gli Usa cercano da tempo di allineare la comunità internazionale alla propria politica delle sanzioni contro Pyongyang. Finora Pechino non ha mai dato riscontri ufficiali, mentre anche l’Unione Europea è scettica. Il punto è che attraverso la Foreign Trade Bank passano tutti i flussi finanziari che riguardano ambasciate straniere, Ong e agenzie delle Nazioni Unite che stanno in Corea del Nord. Germania e Francia hanno più volte espresso preoccupazione che colpendo l’istituto nordcoreano si finisca di fatto per danneggiare le organizzazioni umanitarie. C’è poi una valutazione tutta politica: per favorire il cambiamento in Corea del Nord, è meglio aiutarla o affamarla?

Bank of China non spiega la propria scelta, ma comunica che tutte le transazioni che avvenivano attraverso il conto della Foreign Trade Bank sono interrotte. Intanto, altre banche cinesi o negano di avere mai avuto rapporti con l’istituto nordcoreano (China Construction Bank) oppure non rilasciano commenti (Industrial and Commercial Bank of China, Agricultural Bank of China). 

“Penso che sia un atto davvero degno di nota”, ha dichiarato alla stampa Zhang Liangui – esperto di Corea del Nord alla Scuola centrale del Partito comunista cinese – aggiungendo che Bank of China si è probabilmente preoccupata per la propria reputazione a livello internazionale. “Ritengo che nel prendere questa decisione si siano fatte considerazioni politiche, oltre a valutazioni circa i propri interessi”.

Shi Yinhong, professore di relazioni internazionali all’Università del Popolo, ha detto che Pechino sta probabilmente perdendo la pazienza con Pyongyang. “Stanno mandando un avvertimento al leader nordcoreano Kim Jong-un: deve smetterla di ignorare le richieste della Cina e di creare instabilità nella penisola coreana”.  

Il mese scorso, il premier Li Keqiang aveva detto al segretario di Stato Usa John Kerry, in visita in Cina, che le provocazioni nella penisola coreana danneggerebbero gli interessi di tutte le parti. Con un’immagine così evocativa quanto concreta, alla maniera cinese, aveva paragonato le conseguenze a “raccogliere una pietra, solo per poi farla cadere sui piedi di qualcuno”.

Secondo alcuni osservatori, nella scelta della Bank of China avrebbe pesato anche il fatto che attraverso le operazioni oltre Muraglia, la Foreign Trade Bank attui di fatto una gigantesca opera di ripulitura del denaro di dubbia provenienza della famiglia Kim. Tutte operazioni che comportano forti rischi per le banche cinesi, che ad aprile hanno dovuto istituire un sistema di rating (da 1 a 5) per classificare il livello di rischio relativo ai propri clienti. La Cina è già identificata a livello internazionale come fonte di fondi “sporchi”, il riciclaggio di denaro e le transazioni fraudolente sono stimati in centinaia di miliardi di dollari l’anno.

Lo stop alle transazioni avviene in un contesto già deteriorato. Il South China Morning Post riporta che nel primo trimestre del 2013 gli scambi commerciali tra Cina e Corea del Nord sono già scesi di oltre il 7 per cento ed equivalgono ora a circa 1,3 miliardi di dollari. Il giornale rileva che le importazioni cinesi dal “regno eremita” sono aumentate del 2,5 per cento (590 milioni di dollari), ma le esportazioni sono in calo del 13,8 per cento (720 milioni), escludendo quei beni per cui Pyongyang dipende letteralmente da Pechino: carburante, cibo o altri aiuti.

[Scritto per Lettera43; foto credits: qzprod.files.wordpress.com]