Speciale Fukushima – A due anni dal disastro

In by Gabriele Battaglia

 L’11 marzo 2011 il Giappone veniva colpito da uno dei più forti terremoti degli ultimi 100 anni. Cos’è successo, cosa è stato fatto per la ricostruzione e lo stato attuale dei luoghi del disastro. China Files vi propone uno speciale in memoria di quei giorni. Con i video di Recorder 3-11 e le foto di 20th century Archive.Leggi anche 

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In fuga dallo tsunami

Dall’archivio China Files

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Tra gli organizzatori della manifestazione no nuke
We are all radioactive

La storia

“(…)Nel corso della storia noi giapponesi abbiamo superato tutte le tragedie che ci hanno colpito e le abbiamo accettate come eventi in un certo senso inevitabili, rimediando ai danni tutti insieme, collettivamente. (…) Sono certo che ritroveremo slancio e ci rimetteremo in piedi per ricostruire” (…).
Con queste parole il popolare scrittore Murakami Haruki introduceva una profonda riflessione sulla catastrofe dell’11 marzo 2011.

“(…)E’ opinione comune che essere giapponesi significa imparare a convivere con un’infinità di catastrofi naturali(…)Oggi vorrei parlare però di cose che, contrariamente a case e strade, non sono altrettanto facili da riparare. Come l’etica e il modello della nostra società”.

Il Giappone sta lentamente, grazie allo spirito della sua gente e dei volontari ancora oggi impegnati nel Nordest del Paese, ricostruendo le sue città e le sue strade. Ma rimane il fallimento di un sistema basato sul tacito accordo e sulla scarsa trasparenza. Un sistema ancora duro a morire in Giappone. 

Questa premessa serviva, nel discorso tenutosi a 6 mesi dal triplo disastro al Premio Internacional de Catalunya, allo scrittore per attaccare la Tepco, la società di gestione dell’impianto nucleare di Fukushima Daiichi e il governo. Responsabili, a suo dire, di gravi errori nei controlli e nelle misure di sicurezza degli impianti della centrale, e complici nel perseguire una politica energetica fondata sul nucleare.

Poi un confronto, terribile e vivido, con le bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki. “Sulla lapide del monumento alle vittime di Hiroshima sono state incise le seguenti parole: «Riposate in pace, non ripeteremo questo errore». Parole meravigliose. Noi siamo al contempo vittime e giustizieri. È il significato implicito di queste parole. (…) Nel senso che siamo tutti sottoposti alla minaccia di tale forza (dell’energia nucleare, ndr), siamo tutti vittime; ma nel senso di averne consentito lo sviluppo o di non averne impedito l’utilizzo, siamo tutti anche giustizieri”.

Parole che descrivono bene l’amore/odio per un energia utile quanto complessissima da regolare, tale da incutere paura. Soprattutto ora che, piano piano, centrale dopo centrale, reattore dopo reattore, il governo dell’ex e nuovo primo ministro giapponese Abe Shinzo, ha deciso di trovare “un giusto mezzo tra tutte le fonti energetiche disponibili”. Che non può prescindere, però, dal nucleare

Fukushima ha risvegliato la coscienza “giustiziera” dei giapponesi. Il movimento anti-nuclearista, sopito da oltre vent’anni, è ritornato forte e si è fatto sentire organizzando in un anno migliaia di persone, riportando in piazza i giapponesi, sempre piuttosto poco inclini a farsi notare. Già negli anni ’80, Imawano Kyoshiro, rock star del Sol Levante, scomparso da pochi anni, cantava il suo “Semai Nippon no «Summertime Blues»” – il blues estivo dello stretto Giappone”, chiedendosi per chi e per cosa il Giappone della bolla stesse costruendo centrali a fusione una dopo l’altra.

A pochi mesi dal disastro, un altro autore giapponese, il premio Nobel Oe Kenzaburo, aveva lanciato lo stesso allarme.“Fukushima ci ha insegnato una cosa: che uomo e nucleare non possono più convivere”. Poco tempo dopo, lo stesso Oe, promotore di uno dei più attivi movimenti anti nucleare, Sayonara Genpatsu – Addio nucleare, aveva affermato che più dell’80 per cento dei giapponesi era contro l’utilizzo dell’energia nucleare.

L’impegno civile dei giapponesi mostrato a partire dall’aprile del 2011 ha da un lato indotto il governo a chiudere le 54 centrali per controlli di tenuta antisismica; dall’altro, però è stato a lungo ignorato dalla politica – prima di promettere la fine del nucleare entro 30-40 anni l’ex premier Noda aveva ammesso che i manifestanti riuniti sotto la sua residenza a Nagata-cho facevano "un po’ di baccano" strettamente intrecciata con le lobby produttive favorevoli al ritorno al più presto al nucleare. E questo trend sembra ormai difficilmente arrestabile.

Il movimento no nuke ha perso la spinta originaria – hanno inciso la caduta dell’impopolare governo Noda e l’insediamento di Abe, oggi a tassi stellari di gradimento – e sembra che ora i giapponesi, piuttosto che dal nucleare, siano preoccupati maggiormente dallo stato dell’economia nazionale e dalle tensioni con i vicini asiatici.

Terremoto e nucleare, a neanche due anni dall’11 marzo 2011, sembrano oggi sull’orlo del dimenticatoio.