La notte degli Oscar ha incoronato Ang Lee come miglior regia per il suo Vita di Pi. Tutta Taiwan, dove è stato girata gran parte del film, ha festeggiato il regista. Anche la Cina continentale si congratulata con Ang Lee, regista ancora in grado di realizzare i suoi lavori "con il cuore". Ma non tutti sono d’accordo. Taiwan ha celebrato l’Oscar alla regia vinto da Ang Lee con l’adattamento cinematografico di Life of Pi, superando concorrenti anche forti come Steven Spielberg (Lincoln) e Michael Haneke (Amour). Nel 2005, Lee aveva già vinto il premio per la miglior regia con Brokeback Mountain, mentre nel 2001 si era accaparrato la statuetta per il miglior film straniero con La tigre e il dragone.
Il presidente taiwanese Ma Ying-jeou ha mandato un messaggio di congratulazioni a Lee, come anche il ministro della Cultura Lung Ying-tai che nel telegramma aggiunge: "Siamo molto orgogliosi di te". Il sindaco di Taichung, inoltre, ha espresso la volontà di voler dare la cittadinanza onoraria al regista. Il governo della città ha investito oltre un milione di euro per costruire la location dove è stato girato gran parte del film. E il regista ha espresso in mondovisione la sua gratitudine. Questi a grandi linee i commenti dei quotidiani di Hong Kong e di Taiwan.
Ma nella Cina continentale, l’Oscar ha scatenato sentimenti contrastanti. Il pubblico si trova a essere orgoglioso per le “radici cinesi” del regista ma non può evitare di riflettere “sul motivo per cui il continente cinese è riuscito a realizzare il miglior film nell’arena mondiale”. Questa la versione del Global Times, quotidiano in lingua inglese molto vicino alle opinioni del Partito.
Lo spin off del Quotidiano del popolo continua mettendo in risalto che Lee è venuto all’attenzione di Hollywood dopo aver diretto tre film in cinese nei primi anni Novanta che dedicavano un’attenzione particolare al rapporto tra modernità e tradizione nella Nuova Cina. Sui social media molti hanno etichettato chiamato Lee come "fonte di orgoglio per il popolo cinese", e l hanno lodato come colui che porta alta “la fiaccola della cultura cinese”.
Allo stesso tempo, mettono sempre in risalto i quotidiani più vicini al Partito, sono in molti ad aver espresso le proprie frustrazioni. Molti registi della Cina continentale hanno aspirato al premio senza mai riuscirci, e sicuramente nel dibattito parte della colpa è sempre addossata al sistema di censura a cui devono sottostare tutti i film prodotti da cinesi in terra cinese.
A questo proposito il Global Times ha intervistato Hao Jie, giovane regista della scuola di Jia Zhanke che nel 2010 ha vinto il premio speciale della giuria con il film Single Man. La commedia che racconta in maniera divertente e delicata il complesso intrecciarsi di legami che regolano la vita un piccolissimo paesino delle campagne cinesi, non è mai stata trasmessa in patria perché piena di scene di ampessi tra i più disparati personaggi.
Hao Jie ha espresso tutta la sua insoddisfazione riguardo l’industria filmica del suo Paese: la censura ci lega sin dalle prime produzioni, così è impossibile restituire realtà autentiche”. Su Mu, importante critico cinematografico della Beijing Film Accademy, ha aggiunto che non è solo quello il punto. “Lee realizza le sue opere con il cuore, mentre i registi della Cina continentale vogliono solo far soldi” ha aggiunto.
Il punto è che ormai la Repubblica popolare è il secondo mercato cinematografico più grande del mondo e i numeri del botteghino sono da capogiro: arrivano a sfiorare i 3 miliardi di dollari l’anno. Ma nonostante questo nessuno ha il coraggio di passare nelle sale produzioni più artistiche o indipendenti. E il cinema d’autore ovviamente ne risente.
[Scritto per Lettera43; foto credits: cnn.com]