Il Vietnam è uno dei paesi con il tasso di crescita più alto del Sudest asiatico. E, in più, ha cominciato ad aprirsi in modo massiccio agli investimenti stranieri. Un’ottima opportunità per le imprese italiane, soprattutto quelle del settore energetico. Quando, tre anni fa, avevano promesso un’apertura agli investimenti esteri per spingere verso una crescita a due cifre la già rampante economia e per modernizzare nel volgere di poche stagioni il Paese, trascinando fuori dalla povertà milioni di persone che ancora vivono in condizioni di indigenza, tutti avevano cominciato a rivolgere sguardi carichi di aspettative verso il Sud-Est Asiatico. Ma, nonostante i toni trionfalistici e le fanfare che avevano accompagnato gli annunci, nessuno aveva creduto che i vertici del partito comunista del Vietnam si sarebbero spinti così avanti. Nel biennio passato la repubblica socialista non si è semplicemente aperta ai capitali stranieri, si è letteralmente spalancata, cominciando ad attrarre flussi di denaro con la stessa forza di un grande buco nero posto al centro di una galassia fatta di imprese in cerca di profitti, mano d’opera a basso costo e ghiottissime agevolazioni fiscali.
Le ultime cifre pubblicate dal Tong cuc thong ke, l’Ufficio generale di statistica vietnamita, sono impressionanti. Guardando ai soli investimenti diretti, l’anno scorso il Paese ha attirato capitali per 13 miliardi di dollari, con una crescita superiore al 70 per cento rispetto al 2011 e un numero di nuovi progetti avviati vicini al migliaio. E se è vero che il buongiorno si vede dal mattino, anche quest’anno quello che nel quarto secolo avanti Cristo era conosciuto come Regno di Au Lac, si prepara a raggiungere nuovi record. A gennaio gli investimenti diretti stranieri in territorio vietnamita hanno superato i 280 milioni di dollari, balzando in avanti del 74 per cento su base annuale, con 37 programmi dedicati e dieci tra città e provincie coinvolte, tra cui la capitale Hanoi e Ho Chi Minh City, Dong Nai e Binh Duong (nel Sud) e Haiphong (nel Nord).
Entrato a far parte dell’Organizzazione mondiale del commercio nel 2007 e considerato per la sua posizione geografica come una porta d’accesso ai mercati del Sud-Est Asiatico, il Vietnam attrae capitali quasi da ogni angolo del mondo, a cominciare dalle grandi potenze (Cina, Stati Uniti e Giappone), e arrivando a Paesi più vicini (Corea del Sud, Tailandia e Indonesia, Malesia e Cambogia), passando per l’America Latina, l’Africa e l’Australia, senza dimenticare il Vecchio Continente. Un flusso vitale di denaro che gli ha garantito di proseguire quasi indisturbato la sua corsa verso lo sviluppo, nonostante il lieve rallentamento dovuto alla negativa congiuntura economica internazionale.
La crescita del Pil del 5,1 per cento ottenuta nel 2012 è stata sotto questo punto di vista un risultato notevole, che però non ha soddisfatto completamente la dirigenza vietnamita, intenzionata per quest’anno a totalizzare un 6 per cento tondo. Per raggiungere questo obiettivo una delle partite che Hanoi è chiamata a giocare è quella sul tavolo europeo. Attualmente il Vietnam è seduto sullo scranno di presidenza del gruppo di lavoro per sviluppare le relazione tra l’Asean (l’Associazione delle nazioni del Sud-Est Asiatico, di cui la repubblica socialista è membro dal 1995) e l’Ue. Come dimostra il viaggio che ha portato il quasi settantenne segretario generale del Partito comunista vietnamita Nguyen Phu Trong a Bruxelles, Roma e Londra tra il 21 e il 24 gennaio, il governo del Paese asiatico è fermamente intenzionato ad approfittare di questa posizione di vantaggio per rafforzare ulteriormente i già solidi legami con i suoi partner europei.
In questo quadro, oltre a coltivare rapporti ormai consolidati come quelli che lo legano a Germania e Francia, il Vietnam è anche interessato a irrobustire le relazioni e gli scambi con l’Italia. Cogliendo al volo un assist fornito dal calendario, durante la tappa romana del suo viaggio europeo Trong, scortato da una folta delegazione di funzionari governativi, ha celebrato insieme alle autorità italiane il 40esimo anniversario dell’avvio delle relazioni diplomatiche tra Italia e Vietnam, iniziate ufficialmente il 23 marzo del 1973. Le “Giornate vietnamite in Italia” organizzate a Roma sono state l’occasione di una serie di incontri istituzionali e di iniziative culturali tra i due Paesi, che hanno dichiarato il 2013 l’anno del Vietnam in Italia e dell’Italia in Vietnam.
Mostre, spettacoli e cene, però, sono state solo l’antipasto prima della portata principale: Roma e Hanoi hanno infatti siglato un accordo di partenariato strategico, un protocollo esecutivo in materia di istruzione e una lettera di intenti per la creazione di un centro di eccellenza italo-vietnamita di formazione professionale. Il ministro degli Esteri Giulio Maria Terzi di Sant’Agata ha anche annunciato la prossima apertura di un consolato generale della Repubblica Italiana a Ho Chi Min City, sottolineando che tra i due Paesi è stato firmato non molto tempo fa un memorandum di cooperazione nel settore della difesa.
“Negli ultimi anni le nostre relazioni sono cresciute costantemente. Tuttavia non sono ancora arrivate a un livello per noi soddisfacente. Senza dubbio si possono migliorare ulteriormente”, spiega Bui Quang Vinh, ministro vietnamita per la Pianificazione e gli Investimenti che abbiamo incontrato durante il Forum sulla cooperazione economica tra Italia e Vietnam organizzato a Roma dalla Confindustria. “Il Vietnam rappresenta per voi una porta d’accesso ai mercati di Cina e Asean e la possibilità di impiegare una forza lavoro a basso costo e ben istruita formata da 52 milioni di individui”.
Il lavoro fatto nell’ultimo biennio per attrarre i capitali stranieri è stato enorme. Hanoi punta ad investire molto in nuove tecnologie per incentivare lo sviluppo di un settore fondamentale come quello manifatturiero, sviluppare le energie rinnovabili e le infrastrutture, potenziare l’export nel tessile e nell’agroalimentare. “In Vietnam abbiamo manodopera giovane e volenterosa; quello che ci manca è il know-how”, sottolinea Vinh. “In questo senso l’Italia può esserci di grande aiuto, soprattutto nei settori del design, delle costruzioni e delle manifatture”. L’obiettivo ultimo dei vertici comunisti “è quello di avvicinarci sempre più a un’economia di mercato”, aggiunge il ministro.
Nonostante l’entusiasmo dimostrato dalle imprese italiane, comunque, i problemi non mancano. “Gli imprenditori che arrivano da noi hanno poche informazioni sul funzionamento della nostra economia. Su questo fronte c’è ancora molto da fare”, nota il responsabile del dicastero. Non a caso anche se può vantare nomi di rilievo come Piaggio, Perfetti, Iveco e Telecom, la presenza italiana in Vietnam non è ancora paragonabile a quella francese e tedesca. Al tempo stesso, però, è impossibile trascurare la sua costante crescita, come spiega Nguyen Ba Cuong, vice direttore generale del ministero per la Pianificazione e gli Investimenti. “Tra il 1990 il 2012 l’Italia ha investito 276 milioni di dollari nel nostro Paese, avviando quasi 50 progetti. Il manifatturiero è senza dubbio il settore di punta e oggi rappresenta l’81,4 per cento del totale”. Sostanziose esenzioni fiscali, insieme a “introiti detassati per progetti infrastrutturali, sanitari e legati all’istruzione e per coloro che investono in zone economicamente arretrate” sono la calamita utilizzata dalle autorità vietnamite per attrarre i capitali.
Uno dei settori su cui Hanoi intende puntare in futuro è quello delle energie rinnovabili, stando a quanto racconta Bui Vuong Han, capo dell’ufficio commerciale dell’ambasciata vietnamita in Italia. “Nel 2010 l’elettricità che il nostro Paese ricavava dalle fonti alternative era il 3,5 per cento del totale. Nel 2020 vogliamo arrivare al 4,5 e nel 2030 al 6. Per l’eolico puntiamo a passare dall’attuale 0,7 del mix energetico al 2,4 nel 2020, con 1.000 megawatt di potenza prodotti, che dovrebbero crescere fino a 6.200 entro il 2030”. Sono previsti investimenti nei campi della “geotermia, dei pannelli solari, delle biomasse, delle maree e delle piccole centrali elettriche”.
Ma se in base alle dichiarazioni ufficiali il Vietnam vede il suo futuro colorato di verde, almeno per il momento la sua dirigenza si preoccupa di non rimanere a corto di energia affidandosi a una fonte che di alternativo non ha proprio nulla: il petrolio. Mentre Trong era a Roma, il presidente della compagnia petrolifera di stato vietnamita PetroVietnam, Do Van Hau, e l’amministratore delegato dell’Eni, Paolo Scaroni, hanno siglato una dichiarazioni di intenti per “lo sviluppo di opportunità di business in Vietnam e all’estero”, come recita un comunicato diffuso dalla compagnia italiana.
L’intesa “prevede per PetroVietnam l’opportunità di espandere le proprie attività internazionali e per Eni di entrare in nuovi blocchi del paese. In particolare Eni offrirà a PetroVietnam la possibilità di acquisire quote di partecipazione in aree e blocchi internazionali di cui possiede i diritti esplorativi e di sviluppo. Inoltre, nell’ambito delle attività svolte in partnership nel settore dell’upstream, Eni fornirà a PetroVietnam il suo consistente patrimonio di conoscenze, di tecnologie proprietarie e di capacità di training”. L’Eni prosegue ancora il comunicato “è presente in Vietnam dal giugno 2012 e ha acquisito il 50 per cento e l’operatività di tre blocchi esplorativi situati nel prolifico bacino di Hong Son nel Golfo del Tonchino, che si stima contenga 10% delle risorse di idrocarburi del Vietnam”.
Anche questo per Hanoi è un modo per rafforzare utili legami.
* Paolo Tosatti è laureato in Scienze politiche all’università “La Sapienza” di Roma, dove ha anche conseguito un master in Diritto internazionale, ha studiato giornalismo alla Fondazione internazionale Lelio Basso. Lavora come giornalista nel quotidiano Terra.
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