Ieri a Pechino, due gay, due "vecchietti innamorati", si sono sposati in un ristorante, postando il video dell’evento su internet. L’evento ha attirato l’attenzione dei media nazionali.. Ancora una volta, in un paese in cui l’omosessualità è legale da poco più di 10 anni, è la Rete a ospitare il dibattito sui diritti civili. Ieri una coppia di una certa età si è sposata in un ristorante di Pechino e ha trasmesso online il suo matrimonio. Una cerimonia per pochi intimi, circa 25 ospiti: lui in giacca e cravatta e lui (l’altro) in abito bianco con velina. Lui un professore in pensione e lui un lavoratore migrante, di quelli che consegnano l’acqua a domicilio. Non comunicano dati anagrafici più precisi, ma quando si sposano (illegalmente) trasmettono il banchetto. Lo trasmettono attraverso la piattaforma V6.cn che permette di condividere video nella Republica popolare.
La cerimonia fa scalpore e va su diversi giornali: non solo i matrimoni gay in Cina, come in molte altre parti del mondo, fa scalpore. Ma a un certo punto il figlio di uno dei due irrompe nel ristorante e caccia gli ospiti in mala maniera. La coppia aveva aperto un account su un microblog per preparasi al matrimonio lo scorso 18 gennaio, spiega il South China Morning Post, e aveva raggiunto quasi 18mila follower. “Com’è possibile che abbia ricevuto la benedizione di così tante persone ma non del mio stesso figlio?” e “Ci sono milioni di modi per innamorasi. È capitato che due vecchietti si sono innamorati. Ecco tutto” sono gli unici due commenti che il giornale di Hong Kong riesce a strappare alla coppia che dopo l’irruzione del figlio si trincera dietro un religioso silenzio.
Hu Zhijun, attivista per i diritti dei gay coinvolto nell’operazione, spiega il resto: ha ricevuto un messaggio dalla coppia che gli diceva che a causa della reazione del figlio avevano perso la faccia e ora erano addolorati. Ma il punto che stupisce di più è che il Global Times, spinn off in lingua inglese del Quotidiano del popolo, abbia dedicato un editoriale all’argomento.
Nel 2008, scrive, l’Amministrazione statale per i film e la televisione ha vietato le scene gay ma questo evento ha “polarizzato le opinioni”. Ci sono persone che si dicono disgustate e altre che esprimono il loro sostegno alla coppia. Li Yinhe, una sociologa di chiara fama che si è battuta spesso per i diritti degli omosessuali, dichiara alla stessa testata che l’episodio, oltre che a dare visibilità ai gruppi che difendono i diritti degli omosessuali, “prova che la pressione sociale non è più forte come un tempo e che la tolleranza pubblica sta aumentando”. Quasi ogni anno dal 2003, Li Yinhe presenta alla Conferenza consultiva la proposta di un emendamento alla legislazione sui matrimoni che permetta l’unione tra persone dello stesso sesso.
L’omosessualità nella Cina comunista è sempre stata considerata un tabù. Si pensi che fino al 1997 l’omosessualità è stata considerata un reato e solo nel 2001 è stata cancellata dalla lista delle malattie mentali. Ma i tempi sono cambiati. Se negli anni Ottanta e Novanta, gay e lesbiche erano costretti a incontrarsi segretamente, oggi ci sono bar, luoghi di ritrovo e organizzazioni che ne difendono i diritti pubblicamente. Nel 2001 a Pechino venne organizzato il primo festival di cinema gay, osteggiato dalle autorità e nel 2009 Shanghai ha ospitato il primo gay pride.
[Scritto per Lettera43; foto credits: carriefairfield.com]