Per molti indiani comprare bandierine di plastica ai semafori è un gesto di patriottismo, di appartenenza nazionale. Quasi come cantare l’inno prima di un film al cinema. C’è però un aspetto su cui molti più indiani dovrebbero soffermarsi. Le enormi disparità sociali che ancora resistono nel loro paese. L’altro giorno sono andata al cinema. Come al solito, ci siamo alzati in piedi per l’inno nazionale. Per qualche ragione – forse perché non c’era un video ad accompagnare il canto – mi sono trovata a concentrarmi sulle parole del Jana Gana Mana (il titolo dell’inno nazionale indiano, ndt).
Un inno deve esprimere l’amore che un cittadino prova per la nazione. Il nostro inno è un canto di lode. Si rivolge a una forza più alta – qualunque forza controlli i destini delle nazioni – e invoca una benedizione per la vittoria. Descrive anche cosa il termine ‘Bharat’ (‘India’ in lingua hindi, ndt) implichi. Cita le lingue, la diversità. Parla di montagne e fiumi. Quando cantiamo queste lodi, stiamo davvero pregando perché tutto ciò sia protetto, e con loro le persone che vivono in questa terra.
Più tardi, ho visto una ragazza, sui quindici anni, davanti un semaforo. C’è un’arietta frizzante di sera, e ho iniziato a chiedermi se avesse vestiti caldi, dove vivesse, e quali fossero i suoi obiettivi di vendita quotidiani. Vicino a lei, compare un ragazzino. Pantaloncini corti e una camicia strappata, a piedi nudi d’inverno, sventola una bandiera indiana.
Non si può scampare a tali spettacoli questa settimana. Piccole bandiere da pochi soldi, assemblate in Cina, nelle mani di bambini piccoli di fronte ai semafori. Forse, dopo tutto, sono fatte in India. Ma quanto verrà pagato un lavoratore per fare una bandierina di plastica da pochi soldi?
E i ragazzini – anche se ignoriamo l’aspetto del lavoro minorile, come possiamo ignorare il fatto che sono probabilmente senza tetto e quasi certamente non hanno un’assicurazione sanitaria? Se si ammalano, andranno all’ospedale dove sarà impossibile avere un letto. E se non riescono a trovare i soldi per mangiare, come si compreranno le medicine?
Per troppi di noi (lettori di quotidiani in inglese), il patriottismo rimane confinato all’inno nazionale; alle bandiere; alle partite di cricket; al’offendersi se qualcuno dice che l’India è un posto oscuro, disperato.
Ma è così solo per la maggioranza. C’è un rapporto del 2012 stilato dal Working Group on Human Rights in India e dalle Nazioni Unite. Ci ricorda che il 77 per cento di noi vive con meno di 20 rupie al giorno. Anceh se la crescita media è all’8,2 per cento, il declino della povertà è solo allo 0,8. Il che significa che sempre più persone si trovano ai margini.
Almeno il 92 per cento della forza lavoro non è organizzata. Il che significa che non possono chiedere efficacemente una parte della crescita indiana in termini di migliori condizioni di lavoro o previdenza sociale. Molti lavoratori perdono il posto facilmente, sono assunti solo occasionalmente, e non hanno retribuzione, o fondo previdenziale, o assicurazione sanitaria.
Inoltre, dove siamo cresciuti, la crescita è stata pagata a caro prezzo. Gli indiani che hanno pagato sono quelli più vulnerabili. Il rapporto calcola che il numero di persone allontanate da casa dal 1947 per progetti di sviluppo è di 60-65 milioni. Il 40 per cento di loro apparteneva a tribù e un altro 40 per cento erano dalit e poveri delle campagne.
Non che le nostre città scoppino di salute. Il 60 per cento di Mumbai e il 50 per cento di Delhi ancora vivono in slum o "insediamenti informali". La popolazione delle baraccopoli urbane indiane è di oltre 158 milioni, gran parte dei quali non ha accesso ad acqua potabile o ai servizi d’igiene.
A gli slum continueranno a crescere peché l’agricoltura è in crisi. I calcoli ufficiali sui suicidi degli agricoltori sono disponibili per il 2010. Erano 15.964 in un anno, uno ogni 43 minuti.
Questa è quindi la nostra repubblica – al 134esimo posto su 187 nell’indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite. E se, da un lato, sono felice che siamo una nazione sovrana, faremmo meglio a iniziare a pensare molto seriamente su come fare della democrazia politica democrazia umana. Comprare bandiere ai semafori non è abbastanza.
*Annie Zaidi scrive poesie, reportage, racconti e sceneggiature, non necessariamente in quest’ordine.Il suo libro I miei luoghi: a spasso con i banditi ed altre storie vere è stato pubblicato in Italia da Metropoli d’Asia.
[Articolo originale pubblicato su Daily News and Analysis]