E’ morto all’età di 92 anni Xu Liangyin, scienziato, avvocato e dissidente cinese. Dopo una vita nel partito comunista, da censore divenne dissidente. Dopo aver collaborato all’atomica cinese, lavorato per il Partito censurando opere scientifiche, tradusse Einstein e divenne ispiratore delle proteste di piazza Tian’anmen. Xu Liangyin, scienziato, avvocato e dissidente cinese, è morto a Pechino all’età di 92 anni. E’ entrato nel Partito Comunista a 22 anni, da clandestino. Ha visto la vittoria del Partito, l’era di Mao, è entrato nell’Accademia cinese delle Scienze, da censore, finendo per denunciare le campagne contro la scienza e contro gli intellettuali di Mao.
Purgato nel 1957, per aver criticato su un giornale scientifico la politica del Partito Comunista, è stato mandato in campagna dove ha lavorato per vent’anni a tradurre in cinese Einstein. Collaboratore dell’artefice della bomba atomica cinese, fu uno dei tanti ispiratori delle rivolte del 1989, finendo per essere messo agli arresti domiciliari, fino al 2000, senza mai smettere di denunciare il sistema a partito unico.
Xu Liangying era nato nel 1920, nella provincia orientale cinese dello Zhejiang. Fin da giovane si interessa alla fisica, studiando insieme al noto Wang Ganchang, “l’architetto della prima bomba atomica della Cina”, che lo scelse come suo personale assistente di ricerca per lo studio delle particelle subatomiche note come neutrini. “I suoi anni di college – ha scritto il Washington Post – hanno coinciso con l’invasione giapponese durante la seconda guerra mondiale di gran parte della Cina e Xu divenne un radicale, a causa delle tante sofferenze inflitte al suo popolo, finendo per aderire al Partito comunista prima della rivoluzione del 1949, quando era ancora un’organizzazione clandestina”.
Dopo il successo comunista comincia a lavorare presso l’Accademia Cinese delle Scienze. “Un errore”, dirà in futuro, dato che la sua attività in quegli anni, sarà niente meno che quella di “censore” delle opere scientifiche, per conto del Partito.
Durante quegli anni comincia ad amare Einstein, a diffonderlo in Cina, notando ben presto l’incompatibilità tra pensiero e ricerca scientifica e stretti dogmi maoisti. Xu denunciò allora la repressione di Mao contro gli intellettuali nel 1957, finendo per essere etichettato come “appartenente alla destra”. La conseguenza fu l’epurazione nelle campagne cinesi. Lì cominciò la traduzione delle opere di Einstein, “criticato da molti comunisti per la predisposizione filosofica di alcuni dei suoi lavori”.
La sua attività di protesta nei confronti delle “ottusità” del sistema a partito unico cinese, proseguirono, fino ad arrivare al fatidico 1989. Nel febbraio di quell’anno Xu ha redatto “una lettera aperta firmata da quarantadue scienziati di primo piano con cui invitava i leader di partito a spingere per riforme in favore della democrazia, la tutela dei diritti civili e liberare i prigionieri politici”.
La lettera pare abbia contribuito non poco nell‘ispirare le proteste pro-democrazia degli studenti di Tian’anmen. “Il massacro, disse allora Xu è un evento storico: Deng Xiaoping ha usato carri armati e aerei per uccidere il suo popolo, massacrando senza battere ciglio. Una cosa che non fecero neanche i giapponesi”. Xu non venne arrestato subito, forse, disse, “perché aveva avuto un infarto un paio di mesi prima e non aveva avuto modo di partecipare alle manifestazioni”.
Quando gli venne suggerito di scappare, rifiutò. “Ero debole, raccontò, avevo 69 anni e se mi avessero arrestato ero pronto a morire in prigione”. Nel 1994 Xu e altre sei persone, tra cui i genitori di uno dei manifestanti uccisi in Tian’anmen, pubblicò un nuovo appello per i diritti umani in Cina. “Parlare di modernizzazione senza menzionare i diritti umani è come scalare un albero per prendere un pesce”, scrisse. Infine, “il governo lo mise agli arresti domiciliari fino agli inizi del 2000”, ha scritto oggi il South China Morning Post.
Dopo questo evento, Xu Liangying ha pubblicato altre diverse lettere sollecitando le autorità a liberare i dissidenti e rispettare i diritti umani. “Negli ultimi anni – prosegue il quotidiano di Hong Kong – ha sempre manifestato delusione nei confronti del Partito comunista specificando di non avere alcuna fiducia nelle riforme politiche del paese fino a che fosse rimasta la guida di un partito unico”.