La riforma del codice di procedura penale cinese, ufficialmente approvata lo scorso marzo, è diventata effettiva il 1 gennaio 2013. Detenzioni e indagini segrete sono ancora permesse se giustificate "in maniera rigorsa", ma ci sarà più attenzione ai "diritti individuali". Captatio benevolentiae o decisiva virata verso la legalità?
La riforma del codice di procedura penale cinese, ufficialmente approvata dal Congresso del Partito Comunista Cinese (PCC) lo scorso marzo, è diventata effettiva il 1 gennaio 2013. La nuova legge è da tempo contestata dagli osservatori internazionali, critici verso l’inserimento di alcuni punti che, in determinate circostanze, permettono la pratica delle “detenzioni segrete” – rese celebri dai casi dell’artista Ai Weiwei e dei familiari dell’avvocato Chen Guangcheng.
Il tracciamento dei telefoni cellulari, le intercettazioni ambientali e il monitoraggio informatico sono alcuni esempi dei modi in cui la polizia cinese, negli anni, ha indagato sui sospettati di aver commesso crimini. La legalità del ricorso a questi mezzi è sempre stata oggetto di disputa, e fino ad oggi la legislazione del Dragone non era riuscita a delimitare il loro ambito d’applicazione.
A rivelare i dettagli della nuova legge in materia sono stati documenti rilasciati dal ministero della Pubblica Sicurezza cinese, dalla Procura Suprema del Popolo e dalla Corte Suprema del Popolo. In essi si può leggere che da ora gli ufficiali giudiziari che vorranno fare uso di questi metodi d’indagine dovranno rendere conto “in maniera rigorosa” delle loro azioni, anche se finora non risulta chiaro a chi.
Durante i negoziati che hanno preceduto l’approvazione del disegno di legge, i procuratori cinesi avevano invano tentato di ottenere maggiori poteri attraverso l’implementazione di pratiche d’indagine segrete. La scelta, tuttavia, è stata quella di limitarne l’uso ad alcuni ambiti penali, tra i quali spiccano attività terroristica, minaccia alla pubblica sicurezza, crimine organizzato, omicidio e corruzione di pubblici uffici.
Proprio la presenza di reati legati alla corruzione fra gli esclusi dai nuovi emendamenti ha causato scetticismo in una parte dell’opinione pubblica cinese, che si interroga sulla direzione presa dalla legislazione. “Le indagini poliziesche segrete sono potenzialmente un’enorme violazione della libertà personale e del diritto alla privacy”, ha dichiarato in merito Chen Ruihua, professore di diritto all’università di Pechino Beida.
Le inchieste segrete o sotto copertura fanno parte del sistema giudiziario cinese fin dall’epoca della Rivoluzione culturale, quando erano utilizzate principalmente come strumento di eliminazione degli avversari politici del potere costituito. A ridisegnare i confini di queste pratiche fu la Legge sulla sicurezza nazionale del 1993, che permise ai fautori della pubblica sicurezza di ricorrere ad intercettazioni e tracciamenti “nei limiti previsti dalle disposizioni di Stato rilevanti in materia”.
Peccato che, fino al 1 gennaio scorso, non vi fossero leggi né regole atte a disciplinare il campo d’azione degli 007 cinesi. Di conseguenza, fino ad allora le agenzie di sicurezza e gli apparati statali hanno potuto inserirsi nelle indagini e influenzare la polizia, sostiene Cheng Lei, professore di procedura penale all’università Renmin, intervistato dal magazine Caixin.
Per quanto una legge promulgata nel 2000 vietasse alle corti di accettare materiale raccolto in segretezza, Cheng ha spiegato che molto spesso gli inquirenti abusavano di elementi raccolti in maniera extra-giudiziale, informandone i sospettati e costringendoli a confessare.
Il carattere incerto delle procedure segrete ha inoltre portato a situazioni al limite del paradosso, quando i giudici potevano essere influenzati da prove emerse al di fuori del regolare processo. Spesso, riporta Caixin, i legali della difesa non erano nemmeno a conoscenza dell’esistenza di alcuni elementi raccolti a carico dell’imputato.
Se è vero che i nuovi emendamenti sembrano voler ricucire lo strappo tra faldoni top secret cinesi e standard legislativi internazionali, i più critici pensano che i richiami ai diritti individuali contenuti nella nuova legge siano solo una captatio benevolentiae governativa. Altri, come lo stesso Cheng Lei, sono più ottimisti e sostengono che l’alone di mistero che avvolgeva queste pratiche lascerà spazio ad una decisa virata verso la legalità.
* Davide Piacenza è laureato in relazioni internazionali, è un collaboratore editoriale, analista ed aspirante giornalista. E’ nato ad Alessandria alla fine anni Ottanta. Studia cinese (sic). Ha un blog che tratta di politica internazionale, società, tecnologia e altro: Mi sono perso il Blues. Collabora con il Post, Meridiani – Relazioni Internazionali e BloGlobal.
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