Birmania – L’ombra dei rohingya sulla visita di Obama

In by Simone

Sarà la Birmania la prima tappa del primo viaggio di Obama dopo la conferma ad un secondo mandato. Continua il disgelo tra gli Usa e il Paese dei pavoni, molto in ottica anti-cinese, ma sulla visita del presidente degli Stati Uniti incombe il dramma della minoranza musulmana rohingya.
L’Asia è diventato il centro della strategia globale statunitense. E dall’Asia riparte Barack Obama nel suo primo viaggio dopo essere stato confermato presidente degli Stati Uniti per un secondo mandato. Obama sarà nel Sudest Asiatico a fine mese.

Prima tappa del suo viaggio la Birmania, in un nuovo segno del sostegno di Washington alla transizione in corso nel Paese del pavoni. A mettere a rischio il processo di riforme, iniziato un anno e mezzo fa dal presidente Thein Sein, sono state negli ultimi mesi le violenze settarie nel nordovest del Paese che da giugno, in diverse ondate di scontri, hanno fatto almeno 180 morti e oltre 110mila sfollati.

Ancora ieri la leader dell’opposizione democratica birmana, Aung San Suu Kyi, ha esortato il governo di Naypyidaw affinché invii più truppe per cercare di riportare la calma e fermare le violenze tra la comunità buddhista e i rohingya, musulmani di origine bangladeshi, considerati immigrati irregolari dal governo centrale e dalla popolazione, a quali è perciò negata la cittadinanza.

La stessa premio Nobel per la pace è stata tuttavia criticata negli ultimi tempi per non aver apertamente preso posizione contro le discriminazioni di cui sono vittime i rohingya.

Il comunicato rilasciato da Aung San Suu Kyi e dai parlamentari in rappresentanza delle minoranze etniche chiede all’esecutivo come intenda applicare la legge sulla cittadinanza del 1982. Il documento, pur non nominando direttamente il Bangladesh, esorta inoltre i Paesi vicini a contribuire a risolvere la questione.

La pace e la stabilità non saranno possibili a meno che non si affronti e si metta fine alla discriminazione contro i rohingya”, ha detto Phil Robertson, direttore responsabile per l’Asia di Human Rights Watch, citato da Al Jazeera. “Suu Kyi ha l’autorità morale per chiedere al governo di rispettare i diritti di tutti i gruppi e lo deve fare. Ancora non capiamo perché non l’abbia fatto”.

L’argomento rohingya potrebbe perciò essere nell’agenda dell’incontro di Obama con la Lady, come Suu Kyi è chiamata dai suoi sostenitori. Il presidente statunitense vedrà inoltre il suo omologo birmano Thein Sein, “per incoraggiare la transizione democratica”, ha sottolineato il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney.

Ritengo importante migliorare le relazioni tra i due Paesi e penso che il nostro partito possa svolgere un ruolo importante”, ha detto alla Reuters Han Tha Myiny, componente del comitato esecutivo della Lega nazionale per la democrazia, il partito di Aung San Suu Kyi.

L’arrivo di Obama in Birmania, seguito dalle visite in Thailandia e in Cambogia per il East Asia Summit, è considerato da molti un primo traguardo nel contendere l’influenza sulla regione alla Cina, che negli anni dell’isolamento birmano aveva creato forti legami con il regime, rafforzati dalle sanzioni imposte negli anni Novanta dall’allora amministrazione statunitense guidata da Bill Clinton.

Gli Stati Uniti hanno iniziato soltanto quest’anno la revoca delle sanzioni, riconoscimento per i passi avanti in campo politico ed economico svolti dal regime con il discioglimento della giunte militare al potere per sessant’anni e il passaggio di poteri a un governo civile.

Il miglioramento dei rapporti tra Washington e Naypyidaw è stato segnato lo scorso novembre dalla storica visita di Hillary Clinton, primo segretario di Stato americano a visitare il Paese in oltre cinquant’anni.

[Foto credit: exiledtonowhere.com]