Riepilogo del caso Enrica Lexie, che vede i due marò italiani Massimiliano Latorre e Salvatore Girone accusati di omicidio. Dove si trovava la nave al momento della sparatoria, le perizie ufficiali e qual è il problema giurisdizionale sul quale si confrontano India ed Italia da oltre 8 mesi. (UPDATED)
18 gennaio 2013 – Update
Questa mattina la Corte suprema indiana ha raggiunto un primo verdetto sul caso dei due marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre.
I giudici hanno dichiarato che l’incidente dello scorso febbraio "non è avvenuto in acque territoriali indiane" e quindi lo Stato del Kerala "non ha la giurisdizione" per processare i due soldati italiani.
Ma ha anche respinto il ricorso avanzato dalla difesa italiana, indicando che i due marò non possono godere dell’immunità sovrana, eventualità che avrebbe di fatto accordato automaticamente la giurisdizione all’Italia. Inoltre ha precisato che lo Stato centrale (ovvero il governo federale dell’Unione indiana) può esercitare la propria giurisdizione sul caso.
La Corte ha disposto che i due marò siano trasferiti dal Kerala a Nuova Delhi – dove saranno sotto la tutela dell’ambasciata italiana – e saranno liberi di circolare per tutto il territorio indiano. Il trasferimento dei due marò nella capitale indiana, secondo le ultime notizie, dovrebbe già avvenire entro stasera.
Infine, il nodo più importante, la Corte suprema ha stabilito che il Chief Justice of India (il capo della Corte suprema) assieme al governo centrale indiano appunterà nei prossimi giorni una Corte speciale che dovrà prima di tutto decidere chi avrà la giurisdizione, se l’Italia o l’India, ed eventualmente, nel caso venga affidata all’India, procedere ad istruire il processo che vede accusati i due marò di omicidio.
L’avvocato Harish Salve, che guida la difesa dei due marò, si è detto "molto soddisfatto" della sentenza, che esclude definitivamente lo Stato del Kerala dalla questione legale.
In un comunicato ufficiale di palazzo Chigi, ripreso dall’agenzia di stampa Ansa, si legge:
"L’Alta Corte ha riconosciuto che i fatti avvennero in acque internazionali e che la giurisdizione non era della magistratura locale del Kerala. La decisione incoraggia l’ulteriore impegno già assicurato in questi mesi dalla Repubblica italiana. Il Governo prende atto che la valutazione sulla giurisdizione dovrà essere elaborata da un Tribunale speciale, non ancora costituito. Ed è fiducioso che la magistratura e le istituzioni federali indiane opereranno nel pieno rispetto delle leggi internazionali che riconoscono l’esclusiva giurisdizione dello ‘Stato di Bandiera’ sulle navi operanti in acque internazionali. Per il Governo italiano l’obbiettivo resta il rientro in Italia dei nostri due militari".
Occorre però una precisazione: la Corte suprema non ha detto che i fatti avvennero in acque internazionali, bensì che "non avvennero in acque territoriali indiane". Che sembra la stessa cosa, ma non lo è, vista la diatriba giuridica circa la "zona contigua" che, lo scorso novembre, avevamo già spiegato in modo esaustivo. E che ora, se volete andarvela a vedere, potete trovare poche righe più sotto.
7 novembre 2012 – La storia
Lo scorso 15 febbraio la petroliera italiana Enrica Lexie viaggiava al largo della costa del Kerala, India sud occidentale, in rotta verso l’Egitto. A bordo ci sono 34 persone, tra cui sei marò del Reggimento San Marco col compito di proteggere l’imbarcazione dagli assalti dei pirati, un rischio concreto lungo la rotta che passa per le acque della Somalia. Poco lontano, il peschereccio indiano St. Antony trasporta 11 persone.
Intorno alle 16:30 locali si verifica l’incidente: l’Enrica Lexie è convinta di essere sotto un attacco pirata, i marò sparano contro la St. Antony ed uccidono Ajesh Pinky (25 anni) e Selestian Valentine (45 anni), due membri dell’equipaggio.
La St. Antony riporta l’incidente alla guardia costiera del distretto di Kollam che subito contatta via radio l’Enrica Lexie, chiedendo se fosse stata coinvolta in un attacco pirata. Dall’Enrica Lexie confermano e viene chiesto loro di attraccare al porto di Kochi.
La Marina Italiana ordina ad Umberto Vitelli, capitano della Enrica Lexie, di non dirigersi verso il porto e di non far scendere a terra i militari italiani. Il capitano asseconda invece le richieste delle autorità indiane.
Sui corpi delle due vittime viene effettuata l’autopsia la notte del 15 febbraio. Il 17 mattina vengono entrambi sepolti.
Il 19 febbraio Massimiliano Latorre e Salvatore Girone vengono arrestati con l’accusa di omicidio. La Corte di Kollam dispone che i due militari siano tenuti in custodia presso una guesthouse della Central Industrial Security Force indiana – corpo di polizia dedicato alla protezione di infrastrutture industriali e potenziali obiettivi terroristici – invece che in un normale centro di detenzione.
A sparare furono davvero i marò?
Nel rapporto consegnato in un primo momento dai membri dell’equipaggio dell’Enrica Lexie alle autorità indiane e italiane (entrambi i Paesi hanno aperto un’inchiesta) si specifica che Latorre e Girone hanno sparato tre raffiche in acqua, come da protocollo, man mano che l’imbarcazione sospetta si avvicinava all’Enrica Lexie. Gli indiani sostenevano invece che i colpi fossero stati esplosi con l’intenzione di uccidere, mostrando 16 fori di proiettile sulla St. Antony.
Il 28 febbraio il governo italiano chiede che al momento dell’analisi delle armi da fuoco siano presenti anche degli esperti italiani. La Corte di Kollam respinge la richiesta, accordando però che un team di italiani possa presenziare agli esami balistici condotti da tecnici indiani.
Gli esami confermano che a sparare contro la St. Antony furono due fucili Beretta in dotazione ai marò, fatto supportato anche dalle dichiarazioni degli altri militari italiani e dei membri dell’equipaggio a bordo dell’Enrica Lexie.
Staffan De Mistura, sottosegretario agli Esteri italiano, il 18 maggio ha dichiarato alla stampa indiana: “La morte dei due pescatori è stato un incidente fortuito, un omicidio colposo. I nostri marò non hanno mai voluto che ciò accadesse, ma purtroppo è successo”.
Il problema della giurisdizione
Lo scontro diplomatico tra India ed Italia inizialmente ha riguardato la giurisdizione nazionale sull’incidente. Il governo italiano ha sostenuto che l’Enrica Lexie si trovasse a 33 miglia nautiche dalla costa del Kerala, ovvero in acque internazionali, il che avrebbe dato diritto ai due marò ad un processo in Italia. La tesi è stata sviluppata basandosi sulle dichiarazioni dei marò e su non meglio specificate “rilevazioni satellitari”.
Secondo l’accusa indiana l’incidente si era invece verificato entro il limite delle acque nazionali: Girone e Latorre dovevano essere processati in India.
Nonostante la confusione causata dal campanilismo della stampa indiana ed italiana, la posizione della Enrica Lexie non è più un mistero ed è ufficialmente da considerare valida la perizia indiana.
La squadra d’investigazione speciale che si è occupata del caso lo scorso 19 maggio ha depositato presso il tribunale di Kollam l’elenco dei dati a sostegno dell’accusa di omicidio, citando i risultati dell’esame balistico e la posizione della petroliera italiana durante la sparatoria.
Secondo i dati recuperati dal GPS della petroliera italiana e le immagini satellitari raccolte dal Maritime Rescue Center di Mumbai, l’Enrica Lexie si trovava a 20,5 miglia nautiche dalla costa del Kerala, nella cosiddetta “zona contigua”.
Il diritto marittimo internazionale considera “zona contigua” il tratto di mare che si estende fino alle 24 miglia nautiche dalla costa, entro le quali è diritto di uno Stato far valere la propria giurisdizione.
Archiviato il contenzioso sulla posizione della nave, il nodo della questione ora è squisitamente giuridico ed interessa le leggi alle quali si rifanno la difesa italiana e l’accusa indiana.
Secondo la legge italiana ed i suoi protocolli extraterritoriali, in accordo con le risoluzioni dell’Onu che regolano la lotta alla pirateria internazionale, i marò a bordo della Enrica Lexie devono essere considerati personale militare in servizio su territorio italiano – la petroliera batteva bandiera italiana – e dovrebbero godere quindi dell’immunità giurisdizionale nei confronti di altri Stati.
La legge indiana dice invece che qualsiasi crimine commesso contro un cittadino indiano su una nave indiana – come la St. Antony – deve essere giudicato in territorio indiano, anche qualora gli accusati si fossero trovati in acque internazionali.
A livello internazionale vige la Convention for the Suppression of Unlawful Acts Against the Safety of Maritime Navigation (SUA Convention), adottata dall’International Maritime Organization (Imo) nel 1988, che a seconda delle interpretazioni, indicano gli esperti, potrebbe dare ragione sia all’Italia che all’India.
La sentenza della Corte Suprema di New Delhi, prevista per il prossimo 8 novembre, dovrebbe appunto regolare questa ambiguità, segnando un precedente legale per tutti i casi analoghi che dovessero verificarsi in futuro.
Il caso dei due marò, che dal mese di giugno sono in regime di libertà condizionata e non possono lasciare il Paese prima della sentenza, sarà una pietra miliare del diritto marittimo internazionale.
Leggi anche: Quello che non vi hanno detto sul caso Enrica Lexie.
[Foto credit: sevensisterspost.com]