"Si stava meglio quando si stava peggio" vale anche per alcuni indiani. Quando un ragazzo le ha detto che era meglio con gli inglesi, Annie ha gettato la spugna, morsicandosi la lingua. Ecco cosa avrebbe voluto replicare.
Un ragazzo che recentemente è venuto a trovarci ha notato uno sketch di Gandhi appeso alla mia parete. Mi ha chiesto se mi piaceva Gandhi. Io ho detto sì. Lui, no. Gli ho chiesto come mai. E lui: “Si stava meglio con gli inglesi”. Allora ho detto: “Ma tu sai come si stava quando si stava con gli inglesi?”.
Ha cambiato argomento, saltando da una banalità all’altra sul come Gandhi non abbia funzionato. Stavo per controbattere, quando ho capito che era un tipo che non leggeva, non aveva visto molto dell’India al di fuori del giro famigliare e un college con una tassa d’iscrizione molto alta.
Avrei potuto dirgli del satyagraha (la resistenza non violenta, ndt). Ma di solito la questione causa solamente problemi con la maggioranza delle figure autoritarie, genitori compresi, e delle volte comporta anche un periodo in carcere. Forse avrei dovuto dirglielo comunque.
Ho pensato a Gandhi tutto il mese. I giornali pieni di foto di alunni vestiti come lui – a torso nudo, pelati, con gli occhialini tondi. E’ un modo per ricordare Gandhi, per dire che noi vorremmo I nostri figli fossero come lui. Ma la calvizie e gli occhialini sono solo i suoi aspetti più marginali.
La differenza sostanziale tra lui e gli altri leader indiani fu che egli decise di abbracciare il nostro incubo peggiore, la povertà. Decise di soffrire la fame. Decise di camminare. Decise di andare in prigione.
Gandhi avrebbe potuto benissimo non andare in carcere. Con la sua determinazione, la sua intelligenza, avrebbe anche potuto servire egregiamente i nostri padroni colonizzatori. Avrebbe potuto piegare la schiena del popolo indiano ancora di più.
Si sarebbe potuto comprare una macchina, mandare I suoi figli a Londra. E I figli avrebbero potuto segurie il suo esempio.
Invece, Gandhi puliva i bagni pubblici per distruggere il sistema sociale che prevedeva solo alcuni essere umani fossero obbligati a fare il “lavoro sporco” che altri esseri umani non volevano fare.
Credeva nella pace tra le comunità religiose e subì minacce di morte – da parte di indiani – ben prima della Partition.
Gandhi si vestiva da povero e lavorava come un povero perché era necessario ci ricordasse – e ricordasse a se stesso – che i poveri esistono e che l’India era un luogo di sfruttamento.
Il problema principale dell’imperialismo è che porta allo sfruttamento. La gente diventa sempre più povera e viene mantenuta tale tramite una serie di leggi inique. Se si ribella, viene accusata di lavorare contro gli interessi “nazionali”.
Oggi gli interessi nazionali non sono più quelli degli inglesi. Ma allo stesso modo i epositi di cibo straripano mentre i contadini si suicidano e la tecnologia “avanzata” permette semi che si autodistruggono.
Gli abitanti degli slum hanno 24 ore di tempo per trasferirsi, prima che le loro baracche vengano demolite, ma i costruttori devono fornire un’abitazione alternativa quando demoliscono l’appartamento alla "gente da appartamento". Cosa farebbe Gandhi in questa situazione?
Alcune persone in Chhattisgarh si staranno facendo la stessa domanda. Ho visto delle foto del villaggio Gare nel distretto di Raigarh, dove un’organizzazione ha portato avanti una protesta non violenta del carbone, come la marcia del sale di Dandi guidata da Gandhi.
Lo scorso 2 ottobre gli abitanti del villaggio sono andati a raccogliere il carbone da una miniera privata. Erano disposti a pagarlo ed hanno chiesto alle autorità locali di rilasciare loro una ricevuta per la dichiarazione dei redditi. Questo è stato il loro modo di difendere il proprio diritto non solo sulla terra, ma anche sulle risorse minerarie.
Stavano infrangendo la legge? Non lo so. Ma penso che abbiano abbiano fatto bene.
Ci sono problemi di sfruttamento in ogni distretto, in ogni villaggio. Ma Gandhi ci ha lasciato i mezzi per combattere.
E forse, se a scuola ci fossero dei programmi didattici di filosofia gandhiana, o almeno sui movimenti per I diritti umani e civili e strumenti politici non violenti, ci sentiremmo un po’ meno impotenti.
*Annie Zaidi scrive poesie, reportage, racconti e sceneggiature, non necessariamente in quest’ordine. Il suo libro I miei luoghi: a spasso con i banditi ed altre storie vere è stato pubblicato in Italia da Metropoli d’Asia.
[Articolo originale pubblicato su Daily News and Analysis]