Ragazze under 15 ritratte in costume da bagno in posizioni ammiccanti. Quello delle junior idol è uno dei più importanti fenomeni di cultura pop giapponese degli ultimi anni. Una moda al limite della legalità e del reato di pedo-pornografia. China Files ha chiesto il parere di Andrea Ortolani, esperto di diritto giapponese. Iida Riho e Shihono Ryo hanno appena 21 anni. Questa settimana le loro foto in biancheria intima e pose ammiccanti, occupano le pagine del settimanale giapponese Shukan Playboy.
"Entrambe abbiamo ormai una lunga carriera alle spalle. Fino ad oggi ci siamo sempre mostrate senza preoccuparci delle pose più audaci," rivelano le due idol, "idoli". Così i giapponesi chiamano i personaggi, soprattutto femminili, considerati più fisicamente attraenti e genericamente etichettati come "carini" nel panorama mediatico.
Musica e televisione soprattutto, ma anche moda e fotografia. "Abbiamo ancora 21 anni, circa la stessa età che hanno ora i lettori più giovani [dei settimanali di costume]. Dal loro punto di vista, è come reincontrare le compagne di classe che non vedevano da un po’. E in più penseranno che siamo diventate ancora più sexy…".
Iida e Shihono hanno iniziato la loro carriera molto giovani. La prima aveva 11 anni e frequentava ancora la quinta elementare quando è apparsa per la prima volta su riviste e programmi tv; la seconda, a soli 12 anni, era già famosa con una serie di scatti raccolti in diversi dvd e pubblicati su riviste giovanili e rotocalchi. Entrambe, fino a una decina di anni fa, erano quelle che i giapponesi definiscono junior idol.
Quello delle junior idol è uno dei più importanti fenomeni di costume giapponesi dell’ultimo decennio. Già nel 2007, un articolo del Japan Times, quotidiano in lingua inglese d’informazione su quanto succede nel paese del Sol levante, rilevava il nuovo trend, sottolineando come dietro questo vi fosse un giro d’affari tutt’altro che trascurabile.
La diffusione su larga scala di immagini di giovanissime fotomodelle in pose provocanti e il moltiplicarsi di negozi che esponevano l’insegna "U-15" (under 15) avevano scatenato il dibattito. Pornografia minorile o espressione artistica?
Il fenomeno era apparso particolarmente evidente in uno dei quartieri più famosi di Tokyo. Ad Akihabara, distretto tecnologico e dei gadget erotici per eccellenza, molti negozi iniziavano ad esporre sugli scaffali libri fotografici e dvd di bambine sotto i 15 (in alcuni casi anche di 9 anni) in costume da bagno o biancheria intima. "A differenza di quanto accade in Occidente, il Giappone ha avuto la tendenza a essere più aperto sul sesso", sosteneva dalle pagine del Japan Times Maruta Koji, antropologo e docente dell’università di Okinawa.
Più che di diverso atteggiamento nei confronti del sesso, sarebbe più giusto parlare di una vera e propria "zona grigia" della legislazione giapponese, in cui l’industria delle baby-modelle prolifica.
"Il Giappone ha lentamente introdotto misure legali contro la pedo-pornografia," continuava Maruta. "Ma il contesto sociale, la cultura e la religione mettono le persone meno a disagio su queste questioni". Tesi confermata, sempre nello stesso articolo, dalla madre di una junior idol appena 14enne. "Non ho problemi se mia figlia indossa un tanga alla sua età, il suo corpo ha la bellezza neutra e asessuale che solo un’adolescente può avere".
Solo nel 1999 viene approvata dal governo la prima legge moderna per la protezione dei minori e contro pornografia e prostituzione minorile. "Con il termine pedo-pornografia (jiryo poruno, in giapponese)" si legge all’articolo 3 del testo di legge, "si intendono fotografie, materiale registrato contenente tracce elettromagnetiche…o ogni altro mezzo che rappresenti in maniera evidente", tra l’altro, "minori interamente o parzialmente nudi, rappresentati in pose che stimolino il desiderio sessuale dello spettatore".
Ma la legge, emendata nel 2004, finora è stata inefficace perché non punisce il possesso di materiale pedo-pornografico ma solo la sua produzione e diffusione.
La zona grigia è quindi molto più grande di quanto si possa pensare. L’industria giapponese della pedo-pornografia è in continua e quasi indisturbata espansione. Immagini e filmati di veri e propri abusi a danni di minorenni prodotti e distribuiti su ampia scala in Giappone sono diffusi anche all’estero via internet.
"Se si tratta di detenzione senza intento di vendita (ovvero se non vengono accertati il possesso di decine di copie di cd con i video, o se non si documenta l’atto di vendita illegale in punti vendita fisici o online ), la detenzione non è configurata come reato per la legge giapponese e pertanto occorre ritenerla legale", spiega a China Files Andrea Ortolani, esperto di diritto comparato e del Giappone, dottorando in diritto presso l’Università di Tokyo e autore del blog Il diritto c’è, ma non si vede.
Senza contare poi il mondo della pedo-pornografia virtuale. Nessuna autorità giapponese si era occupata di manga, anime (fumetti e cartoni animati made in Japan) e videogiochi che sfruttano immagini di personaggi di età indefinita, ma chiaramente non adulti. "Le immagini", anche quelle più forti, ricorda l’Economist, in Giappone non sono illegali, "perché illustrazioni".
Nel 2010 il governo della municipalità di Tokyo però dà il via a un giro di vite sulla vendita di materiale – assai diffusa in Giappone, dalle librerie ai convenience store – che abbia per protagonisti anche "minori non esistenti". Per tutta risposta, dieci maggiori case editrici boicottano una fiera annuale dell’animazione, etichettando il provvedimento come "lesione alla libertà di espressione".
Un colpo comunque notevole. "Proibire la vendita [di anime e manga pedo-pornografici] è già una misura forte", conferma Ortolani. "Basti pensare a quanto si fattura ad Akihabara". Secondo quanto riportato da Reuters, infatti, il distretto dell’elettronica e del porno vanta un fatturato pari a 758 milioni di dollari.
Da quest’estate anche la municipalità di Kyoto, l’antica capitale del Giappone, ha deciso di intervenire in maniera decisa sul mondo della pedo-pornografia. L’antica città imperiale è infatti il primo governo locale a sanzionare direttamente anche il possesso di materiale pedo-pornografico.
È tutta colpa di internet, secondo quanto dichiara il portavoce della polizia di Kyoto al quotidiano britannico The Independent, "è molto difficile da monitorare". La polizia lamenta inoltre di non avere gli strumenti legali adatti ad affrontare il problema. I casi di reati legati alla pedo-pornografia sono infatti in continua crescita: sulla base dei dati dell’Agenzia nazionale della polizia giapponese per quest’anno sarebbe previsto un incremento del 10% rispetto ai 1455 casi registrati nel 2011
Su Chartsbin, sito che raccoglie carte tematiche, i dati sulla legislazione mondiale relativa alla pornografia minorile sono fruibili su un’unica mappa. E sul Giappone, la dicitura è chiara: "leggi inadeguate".
"La pedo-pornografia è percepita più come un crimine di immagine o di scene da film, non qualcosa che coinvolge con vittime in carne e ossa" ammette a Reuters Nakai Hiromasa, portavoce Unicef per il Giappone. Il vero problema non sarebbe quindi puramente legislativo, ma culturale.
[foto credits: dalje.com]
*Marco Zappa nasce a Torino nel 1988. Fa il liceo sopra un mercato rionale, si laurea, attraversa la Pianura padana e approda a Venezia, con la scusa della specialistica. Qui scopre le polpette di Renato e che la risposta ad ogni quesito sta "de là". Va e viene dal Giappone, ritorna in Italia e si ri-laurea. Fa infine rotta verso Pechino dove viene accolto da China Files. In futuro, vorrebbe lanciarsi nel giornalismo grafico.