La necessità di informazione, comunicazione e condivisione, personale e collettiva, è la spinta creativa. Questo è uno spazio dedicato a uno tra i personaggi più influenti dei nostri tempi: Ai Weiwei, l’uomo, l’artista, il dissidente. Perché la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione. Continua, o forse no, la nuova saga de: ‘Il Fake non c’è più!’
La scorsa settimana, giorno 9 ottobre, mentre mi reco tranquillamente nel back office a salutare il mio cane preferito (un husky), suonano alla porta. Vado ad aprire, ormai tranquilla dopo quattro mesi circa, e mi trovo di fronte un tizio a me che mi guarda fisso e il quale saluto, come del resto faccio con tutti, con un: ‘Ni hao’.
Lui risponde – e giuro che lo fa come per dire: ‘Ni hao un cavolo’ – e mi indica il suo compagno, che non avevo notato. Quest’altro simpaticissimo signore indossa la divisa, apparentemente della polizia (le divise dei vari organi, uffici governativi si assomigliano tutte veramente molto. Mi perdonerete la battuta, ma tanto sono tutti uguali, tutti insieme, tutti meglio della trinità, ‘padre figlio e spirito santo’ in un’unica entità: hanno ragione a vestirsi simili).
Io lo guardo e l’altro, il ‘borghese’, che compiaciuto mi sbatte il distintivo in viso: come nei film. Io non so se ridere o se piangere, ma comunque, polizia o non polizia, dico di aspettare un attimo.
Ho chiaramente e distintamente capito che hai un distintivo e che vuoi fare lo sceriffo, ma devi entrare in casa di qualcuno, che per giunta non è la mia, quindi aspetti.
Molto gentilmente (perché in ogni caso con questi soggetti c’è poco da scherzare e sì, noi ne abbiamo le prove) dico di pazientare un attimo e chiamo il mio collega, il primo che vedo, con il nomignolo che gli ho affibbiato (altrimenti non mi ricorderei mai tutti quei nomi cinesi): ‘Ciaociao!’
Ciaociao viene e molto arrogantemente gli uomini fanno per entrare, mostrando ancora il distintivo e la divisa, senza parlare o dare spiegazioni. Anche il mio collega dice loro che devono comunque aspettare un attimo. Io corro a chiamare gli altri avvertendo che c’è la polizia alla porta e arrivano subito ‘rinforzi’ dal front office. Il panzone non c’era, lui di pomeriggio non c’è mai, all’una parte, va a camminare al parco di Chaoyang e poi dal figlio, ogni giorno: non c’è nessuno che non lo sappia. Anche questo…un caso.
Dopo all’incirca un minuto dall’entrata dei simpaticoni nello studio, sembra di stare a Cinecittà. Io ho pensato di tenere le luci e truccarli: tutti i miei colleghi, con telefoni e non, a fare i video ai due ufficiali che ‘parlano’. Addirittura il migliore va a prendere la telecamera e li segue anche fuori. Lo spirito della ‘documentazione’ regna su tutti noi: dopo dice si prendono le botte.
Le avranno anche piazzate le telecamere fuori, ma se sapessero quante ce ne trovano quando entrano dentro! Per un momento ho veramente pensato: governo 0 – ex Fake 1.
Voi non ci crederete, ma alla fine della ‘visita’ dei nostri amici, nessuno è riuscito a capire precisamente cosa volessero. Innanzitutto ci hanno detto che non erano della polizia ma dell’ ‘ufficio municipale dell’industria e del commercio di Pechino’. Hanno poi letteralmente blaterato di dover controllare.. l’indirizzo. E il mio collega, con una faccia più unica che rara, ha risposto: ‘questo è il 2-5-8 di Caochangdi’. Ah sì? Numero sconosciuto; e soprattutto loro non lo sanno.
Poi hanno detto che sono venuti a controllare.. l’entrata posteriore, poi non so che. Ora, probabilmente io non ho capito esattamente quello che hanno chiesto e detto perché parlavano in cinese e perché mi sono mossa per andare a chiamare tutti. So solo che alla fine della conversazione non c’era nessuno che avesse chiaramente capito cosa fossero venuti a fare. O forse sì. Ufficialmente è stato detto: ‘controllo’. E probabilmente così sarà.
Il ‘Fake’ è chiuso ormai e ci sono ancora tutte le persone che lavorano, come se niente fosse: quindi probabilmente sì, saranno venuti a ‘controllare’. Cosa, come, perché: questo non si è capito.
L’unica cosa che si è capita è che ritornano le parole di Weiwei, quando ripete che non gli sono state ancora chiaramente comunicate le motivazioni dell’arresto: quali tasse? perché? Lo stesso Weiwei che afferma che ogni qualvolta fa una domanda agli ufficiali o a chi per loro, questi rispondono in maniera talmente vaga, che alla fine dell’incontro non si riesce mai a tirare le somme.
E’ tutto così grigio, annebbiato: non si riceve mai, e dico mai, una spiegazione per nessuna cosa, una risposta a nessuna domanda. E’ sempre tutto molto misterioso e indecifrabile. In grande percentuale perché una spiegazione, a situazioni del genere, probabilmente non c’è mai e se c’è non si può palesare.
In altra grande percentuale perché, rimanendo vaghi e non sbilanciandosi, si può cambiare più facilmente versione e sempre più facilmente discolparsi di qualsiasi cosa. E’ così anche per gli uomini, figuriamoci per il governo cinese.
*Eleonora Brizi ha 27 anni e vive a Pechino. Ogni mattina apre la porta verde del n° 258 di Caochangdi, FAKE studio. Qui lavora per e con Ai Weiwei. Il suo blog è Dacci oggi il nostro Aiweiwei quotidiano.