La Terra delle Risposte e della spiritualità è piagata dai suicidi, 135 mila solo nel 2011. Non solo contadini poveri e disperati nelle zone rurali, ma anche giovani rampanti dell’India del sud e della classe media, schiacciati dallo stress e dalla pressione sociale per la ricerca del successo.
Uno non se lo immaginerebbe, considerato quanto spesso e da quante persone l’India venga vista come la "Terra delle Risposte" alle nostre inquietudini esistenziali occidentali, come un luogo dove andare a "ritrovare se stessi" attraverso una spiritualità millenaria e le sue pratiche, ritmi di vita più umani e rilassati e un rapporto più sano e diffuso con l’interiorità e con la natura.
Eppure ormai ogni giorno circa 400 Indiani, spesso giovani, benestanti e altamente scolarizzati, quelle risposte non riescono invece a trovarle da nessuna parte, arrivando così fino all’estremo di togliersi la vita: 135.585 suicidi solo nel 2011.
Se la tragica tendenza dovesse mantenersi invariata anche in futuro, per le ragazze indiane d’età compresa tra i 15 e i 29 anni il suicidio potrebbe diventare presto la prima causa di mortalità, superando quelle legate alle complicazioni durante la gravidanza e il parto – non certo meno drammatiche ma oggi tendenzialmente in diminuzione – mentre tra i maschi indiani della stessa fascia i suicidi hanno già quasi raggiunto le morti per incidente di traffico, fino ad ora per loro la prima causa di morte.
L’incidenza della fascia compresa tra i 15 e i 29 anni sulle percentuali nazionali nel 2011 ha infatti superato di oltre un punto quella seguente, 30-44 anni: 35,4 contro 34,1 per cento dei casi.
E se in media sono soprattutto gli abitanti maschi degli Stati del Sud a morire volontariamente, negli Stati cioè considerati più ricchi ed evoluti, percentuali alla mano oggi sono le ragazze indiane le più vulnerabili ed é invece il Bengala Occidentale a meritarsi il triste primato nazionale, col 12,2 per cento di casi sul totale, mentre il Bihar siede anche in questo caso, ma per una volta felicemente, all’ultimo posto.
Certamente si tratta solo della proverbiale punta dell’iceberg, dato che in India il suicidio e i suoi tentativi sono un reato e che perciò, quando possibile, le famiglie tendono a denunciarlo come morte accidentale.
I numeri presentati nel rapporto stilato dal National Crime Records Bureau sono spaventosi, e vanno d’altronde a confermare quelli già presentati in uno studio analogo conclusosi nel 2010 e pubblicato da The Lancet lo scorso Giugno.
Per dare una misura dell’emergenza costituita dal fenomeno, basti dire che le morti per suicidio tra i giovani indiani duplicano abbondantemente quelle causate nel Paese dall’HIV-AIDS.
Paura di fallire, stress, depressione causata dal timore di non essere all’altezza delle aspettative familiari, mancanza di autostima: queste le cause principali che sembrano portare al gesto estremo i giovani indiani, seguite dalla paura della malattia, di fronte alla certezza della quale si preferisce spesso farla finita.
E per farla finita, secondo i dati del 2011, gli indiani scelgono principalmente di impiccarsi – 33.3 per cento – o di ingerire veleno/pesticidi – 32.3 per cento.
Secondo il rapporto, il suicidio per malattia risulta più frequente nelle zone rurali, rispetto a quelle urbane, probabilmente a causa del limitato accesso ad eventuali cure o alla scarsa consapevolezza della possibile efficacia delle stesse, sommati alla grande disponibilità di pesticidi in loco.
Per questo motivo, per esempio, nello Sri Lanka la vendita dei pesticidi è stata fortemente regolamentata, col risultato di aver visto rapidamente calare il numero dei suicidi nelle zone agricole.
Ma sempre rispetto all’India rurale, va sottolineato come l’attenzione dei media si focalizzi generalmente sui suicidi degli agricoltori depauperati, certamente numerosissimi, mentre lo studio ha rilevato che in realtà i lavoratori agricoli non mostrano un fattore di rischio maggiore rispetto ad altri residenti nelle stesse zone ma impiegati in altre occupazioni.
In sostanza, secondo quanto emerso, nell’India rurale si suicidano anche moltissimi contadini. La povertà, secondo lo studio, è stata infatti la causa solo nell’1,7 per cento dei casi riportati e la bancarotta nel 2,2, contro, per esempio, gli amori infelici, risultati responsabili del 3,4 per cento dei casi.
Curiosamente, però, risulta che tra le donne indiane divorziate o vedove il tasso di suicidi sia invece molto basso, a differenza di quello che avviene nei Paesi occidentali, dove le donne sole, divorziate o rimaste vedove, sono molto più inclini a compiere gesti estremi rispetto a quelle regolarmente sposate.
I tassi altissimi di suicidi giovanili riscontrati negli evoluti Stati meridionali – un piccolo territorio come quello di Puducherry presenta statistiche relative impressionanti, tra le più alte del mondo – vengono necessariamente relazionati da molti osservatori alla pressione esercitata oggi dalle famiglie sui figli studenti e alla competizione che conseguentemente si scatena in ambito scolastico e poi lavorativo.
Sempre più spesso i giovani indiani sono portati alla disperazione, si sentono costantemente inadeguati, oltre che abbandonati tanto dagli amici, divenuti avversari nella corsa all’eccellenza, quanto dai familiari, perennemente delusi per i mancati successi.
Il dottor Vikram Patel, tra gli autori dello studio di The Lancet, sottolinea come la stragrande maggioranza della popolazione indiana, a partire dal corpo docente di scuole e università, ignori totalmente anche quelle strategie minime, già più che collaudate nel resto del mondo, per l’identificazione preventiva degli elementi e delle situazioni a rischio.
A giudicare dalle cronache sui principali quotidiani indiani, sono effettivamente frequenti i casi di studenti di ogni ordine e grado, alcuni piccolissimi, che si suicidano direttamente a scuola, magari nascosti nei bagni, ma comunque sotto gli occhi di compagni e professori, non appena ricevuta una delusione o una reprimenda giudicata evidentemente insopportabile.
Ma a prescindere dalle auspicabili future competenze specifiche in materia da parte di insegnanti ed educatori, é certo che una società la cui Meglio Gioventù si toglie la vita con tale frequenza dovrebbe interrogarsi a fondo anche rispetto ai meccanismi, alle aspettative indotte e ai ritmi di cambiamento attraverso i quali sta costruendo il suo futuro e il suo progresso socio-economico.
"In fin dei conti – conclude il dottor Patel in un editoriale pubblicato da The Hindu – nella prevenzione dei suicidi risiede la quintessenza dell’interazione positiva tra scienza e società; solo una collaborazione proficua e continua fra questi due settori ci aiuterà tanto a capire il fenomeno quanto a salvare le sue vittime".
[Anche su GuidaIndia; foto credit: abc.net.au]
*Alessandra Loffredo è fondatrice e redattrice di GuidaIndia