Tra i nomi in lizza per il Nobel per Pace spunta quello del presidente birmano Thein Sein. Il capo di Stato può vantare il ruolo di promotore delle riforme che stanno aprendo il Paese dei pavoni al mondo. Ma sul suo operato aleggiano le ombre delle violazioni dei diritti umani nel conflitto contro la minoranza Kachin.
Ventuno anni dopo il riconoscimento ad Aung San Suu Kyi, la Birmania potrebbe ricevere il suo secondo premio Nobel per la Pace. A essere premiato a Oslo potrebbe essere il presidente Thein Sein, l’ex numero due della ormai disciolta giunta militare che smessa la divisa ‘ha avviato il Paese dei pavoni verso riforme e aperture alla guida di un governo civile.
I nomi dei candidati per il Nobel sono ancora segreti. Tuttavia a ipotizzare il capo di Stato birmano nel gruppo dei cinque possibili papabili è stata l’agenzia France Presse, riportando quanto detto dal direttore dell’Istituto per la pace di Oslo, Kristian Berg Harpviken. In lizza, almeno secondo quanto trapelato, sarebbero anche l’ex presidente statunitense Bill Clinton, l’ex cancelliere tedesco Helmut Kohl, l’Unione europea e Bradley Manning, il soldato sospettato, e incarcerato,con l’accusa di essere la talpa di WikiLeaks.
Per Thein Sein sarebbe il riconoscimento per il ruolo di promotore del graduale processo di pace e di riforma portato avanti dalle elezioni del novembre 2010, che di fatto sancirono la fine della giunta militare al potere. Certo un eventuale Nobel non mancherà di suscitare polemiche, sebbene proprio negli ultimi tempi il presidente abbia intrapreso un tour di visite in giro per il mondo per promuovere il nuovo corso birmano.
Prima la Cina, per rassicurare l’alleato e vicino della necessità di mantenere buone relazioni, poi New York, nelle scorse settimane, per partecipare all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, primo presidente birmano a recarsi negli Usa in oltre cinquant’anni. E in questi giorni la Corea del Sud.
Tornando indietro negli anni, non si può però dimenticare che come primo ministro nel 2008 impedì l’arrivo degli aiuti internazionali nelle terre colpite dal ciclone Nargis. Il bilancio della catastrofe naturale fu di almeno 140mila morti. Per le decisioni della giunta fu però più importante impedire l’influenza straniera, o meglio statunitense, sul Paese e portare a termine il referendum costituzionale che si svolgeva in quei giorni.
Più di recente sull’operato presidenziale pesano le recenti violenze contro i musulmani rohingya, discriminati e considerati immigrati irregolari dal Bangladesh, che causarono almeno 90 morti. E soprattutto pesano le accuse di violazioni dei diritti umani perpetrati dalle truppe nei conflitti etnici con le minoranze nelle aree di confine del Paese.
Sebbene Thein Sein abbia instaurato trattative e raggiunto accordi con diversi gruppi ribelli, si trova a fronteggiare la rottura sedici mesi fa di un cessate-il-fuoco in vigore da diciassette anni nello Stato di Kachin a causa di una disputa territoriale.
Gli scontri a fuoco con le milizie del Kachin independence army sono soltanto la parte più visibile del conflitto. Secondo l’organizzazione statunitense Human Rights Watch nel corso dell’offensiva le truppe dell’esercito regolare ricorrono sistematicamente a stupri, violenze e minacce contro i civili.
Intervistato dalla Bbc, il presidente Thein Sein ha respinto le accuse, provenienti a suo dire da un’unica fonte e senza basi fondate, ribadendo la disciplina dell’esercito birmano. Al contrario, scrive Zin Linn, giornalista birmano in esilio e firma di AsianCorrespondent, l’esercito regolare ha mostrato totale indifferenza per la Convenzione di Ginevra soprattutto con l’avanzare dell’offensiva anti-Kachin.
“Thein Sein deve capire a pieno di quali crimini i soldati birmani si stanno macchiando sulla linea del fronte”, scrive Zin Linn, “Se avrà il coraggio di accettare la verità non vorrà premi in cambio. Il presidente non può nascondere le violazioni dei diritti umani perpetrate dall’esercito”. Ma come sottolineato dallo stesso Harpvinken e ribadito dal Comitato per il Nobel chi riceve il premio non deve essere per forza un santo.
[Scritto per Linkiesta. Foto credit: mail.com]