I lavoratori dell’ impianto Foxconn di Zhengzhou, nella Cina centrale, sono in sciopero: non sarebbe stata loro concessa la settimana di vacanze nazionali. È l’ennesimo caso di protesta contro condizioni lavorative non più sostenibili. E ora si parla di una nuova, e più consapevole, generazione di lavoratori. Ancora la Foxconn, ancora l’Iphone. Secondo quanto riportato dalla ong che si occupa di lavoro in Cina, la China Labour Watch, i lavoratori dell’impianto dell’azienda taiwanese di Zhengzhou, Cina centrale, sarebbero entrati in sciopero per protestare contro l’obbligo di lavorare durante le feste, per assicurare la produzione dell’Iphone 5 da poco lanciato, con successo, sui mercati mondiali. La Foxconn con una nota ha smentito lo sciopero.
Se invece lo sciopero fosse confermato, come in realtà si evince da alcuni messaggi e foto postate su Weibo, il twitter cinese, si tratterebbe dell’ennesima protesta dei lavoratori degli stabilimenti della Foxconn, azienda taiwanese che produce per Apple e non solo, già assurta agli onori della cronaca nel 2010 per 13 suicidi di propri dipendenti e poi divenuta ancora più nota per i tanti scioperi nelle sue fabbriche dislocate sul territorio cinese.
Nel caso di Zhengzhou, secondo quanto riportato su Weibo, le cause dello sciopero sarebbero le dure condizioni di lavoro, che non avrebbero rispettato le festività della Repubblica popolare (una settimana di vacanza, definita "golden week" in Cina) per garantire i numeri di produzione necessari. L’azienda taiwanese nel corso degli anni è stata più volte al centro di rivolte, per le condizioni di lavoro, per via di un’organizzazione più volte definita militare e per straordinari non pagati.
Un paio di settimane fa, in un’altra fabbrica c’era stata una sorta di rivolta, dopo una presunta rissa tra lavoratori, che aveva finito per provocare scontri tra dipendenti della fabbrica e addetti alla sicurezza. Dopo l’evento una rivista cinese di Canton (21st Century Economic Report), aveva confermato una voce annunciata già tempo fa, ovvero il passaggio ad una forma di automazione, attraverso robot, che entro tre anni dovrebbe coprire il 30% della forza lavoro. Un anno fa la Foxconn aveva annunciato l’impiego di un milione di robot nelle proprie catene di montaggio.
Il caso dello sciopero nella fabbrica Foxconn di Zhengzhou conferma due dati emersi nell’ultimo periodo. In primo luogo la vivacità della nuova generazione di lavoratori cinesi, giovani e nati nel boom economico che non accettano condizioni di vita al ribasso nelle catene di montaggio, come invece avevano fatto i propri genitori. In secondo luogo il trend di “protesta” della Cina, specie nelle zone economicamente più colpite dal rallentamento dovuto alla crisi occidentale che ha finito per peggiorare le condizioni di lavoro nelle zone conosciute come “fabbrica del mondo”.
Come ha sottolineato Tso Peng Fei, ricercatore presso la Taiwan Topology Research Institute, la maggioranza dei lavoratori della Foxconn sono giovani cresciuti durante il periodo delle Riforme. Si tratta di una novità emersa fin dal 2010 che in Cina ha trovato anche un termine ad hoc: Xinshengdai nongmingong, ovvero la nuova generazione di lavoratori migranti, i nati dopo il 1980.
“Si stima che circa due terzi dei lavoratori cinesi appartengano a questa nuova generazione – spiegano quelli del CLB – nel marzo 2010 secondo l’Ufficio nazionale erano il 61,6% del totale”.
Un’indagine effettuata dall’Acftu (All-China Federation of Trade Unions) su mille imprese e oltre 4mila lavoratori in 25 città in tutta la Cina, ha rivelato alcune delle principali differenze tra la nuova e la vecchia generazione: “i livelli di istruzione sono più alti”. Il 67,2% dei lavoratori di nuova generazione ha il diploma (si tratta del 18,2% in più rispetto alla precedente generazione); i nuovi migranti cambiato i datori di lavoro in media una volta ogni quattro anni (0,26 volte l’anno), mentre gli immigrati più anziani cambiavano lavoro una volta ogni dieci anni in media.
Non solo Foxconn del resto, però nel 2012 sono stati tanti gli scioperi in Cina: oltre 150 – di quelli che in Cina si definiscono “incidenti di massa” – si sono registrati nel settore del “manifatturiero”: ovvero scioperi o scontri tra operai e aziende, quasi sempre per rivendicazioni salariali.
Non si muovono però solo gli operai: ben 43 sono stati gli scioperi nel settore dei trasporti, mentre ha cominciato ad animarsi quello che potremmo definire il moderno cognitariato cinese. Nel 2012 infatti ci sono state numerose proteste espresse anche nel settore dell’educazione, a segnalare cambiamenti storici del gigante asiatico.
[Scritto per Il Fatto Quotidiano online; foto credits: soursquid.com]