Intervista a Tao Dong. L’economista sostiene che i problemi sono la scarsa fiducia degli investitori privati e la carenza di opportunità d’investimento. Per poter rilanciare l’economia cinese è necessaria una riforma strutturale. Rompere il monopolio del settore bancario e garantire ai privati l’accesso ai servizi.
La politica del tasso d’interesse della Cina è sempre importante, poiché ha un significato simbolico molto elevato, essa evidenzia l’orientamento della linea politica. Negli ultimi due anni, la Banca di Cina ha fatto di tutto per non usare la leva del tasso d’interesse, ma ha cercato di portare avanti le sue politiche attraverso la gestione delle linee di credito, la variazione del rapporto di riserva obbligatoria e tramite operazioni sul mercato aperto.
In questi mesi, dato che l’economia ha iniziato a rallentare abbastanza velocemente, si è reso urgente un segnale dal forte valore simbolico, perciò la Banca di Cina ha tagliato per due volte, nell’arco di un mese, il tasso di interesse. Ritengo che ciò abbia un elevato valore simbolico, ma d’altra parte, la sua funzione di stimolo per l’economia non sarà probabilmente molto grande.
Ciò che manca oggi alla Cina sono la fiducia degli investitori e le opportunità di investimento, non i soldi. Oggigiorno in Cina non è per via dell’alto costo del capitale che gli imprenditori non hanno intenzione di investire, ma è a causa del rapido deterioramento dell’ambiente in cui opera e del forte calo dei profitti che il capitale privato è riluttante ad investire.
Questi sono problemi strutturali che difficilmente possono essere risolti da una politica monetaria anticiclica. Penso che il valore simbolico di un taglio del tasso d’interesse sia notevole, ma la Cina si trova ora in una trappola della liquidità, all’interno di un ambiente monetario estremo, ritengo che rilassare ulteriormente la politica monetaria possa avere solo una limitata funzione di stimolo per l’economia.
La mercatizzazione del tasso d’interesse, la caduta dei prezzi delle case ed altri fattori stanno ponendo grandi sfide allo sviluppo del settore bancario. Secondo lei, come dovrebbero farvi fronte le banche nazionali? Nel corso del processo di trasformazione delle attività a cosa è necessario porre maggiore attenzione?
Per prima cosa, ritengo che la mercatizzazione del tasso d’interesse sia appena iniziata. Ciò che vediamo ora è che lo spread del tasso d’interesse di riferimento, su indicazione della Banca Centrale, presenta una riduzione precisa, ma lo spread reale delle banche non presenta affatto tale riduzione. In futuro, penso che verranno adottate ulteriori misure di riduzione dello spread.
Tuttavia, il più importante fattore della notevole riduzione dei profitti delle banche è da farsi risalire alla competizione. Quando un maggior numero di banche di piccole e medie dimensioni sono entrate [nel mercato], queste non avevano una base di risparmi ed hanno potuto solo alzare gli interessi offerti per attirare clienti. In quel momento, lo spread tra tassi di interesse sui depositi e sui prestiti dell’intero settore bancario poté ridursi sempre di più. Secondo me, il periodo migliore del settore bancario è già passato.
Per una banca questo è inevitabile, quando nell’ambiente si verificano cambiamenti, i profitti di una banca possono presentare delle riduzioni, in molti posti del mondo si è verificato questo fenomeno dopo la mercatizzazione del tasso d’interesse. Le banche sono un prodotto intermedio all’interno di un’economia, loro di per sé non creano ricchezza. Tra loro, le imprese ed i consumatori il gioco è a somma zero: più le banche guadagnano, più le tasche di imprese e consumatori si svuotano.
Per quel che riguarda le banche, ritengo che come prima cosa esse debbano accettare in maniera diretta i cambiamenti del contesto generale. Oggi lo spread della Cina non è normale. 400 punti di spread sono anormali, sono una misura politica straordinaria che il governo ha implementato dieci anni fa, dopo che il settore bancario è stato messo in grave difficoltà dai debiti insoluti.
Oggigiorno i profitti del settore bancario equivalgono a metà dei profitti dell’intera economia, non serve [più] aderire rigorosamente a [quella] misura politica. Ora che l’economia rallenta è necessario e indispensabile ridurre i profitti delle banche e arricchire cittadini e imprese. Stando alle mie stime, 300 punti sarebbero abbastanza accettabili. Le banche devono prepararsi ad accettare il nuovo contesto, cercare di sopravvivere e svilupparsi all’interno di esso.
In un periodo in cui l’economia rallenta, ritengo sia anche inevitabile il verificarsi, dannoso, dell’aumento del costo del capitale; fino ad ora abbiamo assistito solo all’inizio [di questo fenomeno], prima o poi i crediti non performanti aumenteranno in quantità e dimensione. Inoltre, il margine di profitto dei prodotti bancari [derivati] sui tassi d’interesse si ridurrà progressivamente e le banche dovranno sviluppare maggiormente l’attività di intermediazione. Ciò in parte già sta avvenendo.
L’attività di intermediazione di molte banche rappresenta fino a metà dei loro profitti, tuttavia ad una analisi più attenta, la maggior parte dell’attività di intermediazione è di fatto rappresentata da prodotti [derivati] sui tassi d’interesse precedentemente impacchettati. E’ quindi ancora necessario sviluppare concretamente i servizi di intermediazione ed estendere i profitti da essi derivanti, stabilizzando in questo modo gli introiti.
Lei ha affermato che la Cina potrebbe cadere nella trappola della liquidità, data l’inefficacia della politica monetaria, che tipo di misura potrebbe, secondo lei, far uscire da [questa] difficile situazione l’economia cinese?
Ogni dieci anni si verifica in Cina un cambiamento strutturale abbastanza importante: a partire dalla riforma rurale degli inizi degli anni ‘80, per arrivare all’istituzione delle zone economiche speciali dei primi anni ‘90, fino all’ingresso nel wto nel corso dei primi anni di questo millennio. Tutte queste sono riforme strutturali. Attraverso questi progressi strutturali è stato [possibile] aumentare la produttività e trainare la crescita economica.
Questa non può essere realizzata tramite la politica monetaria o fiscale. E’ necessario risolvere il problema istituzionale. Una svolta istituzionale presenta diversi aspetti. Per prima cosa quello che riguarda l’accesso al settore dei servizi. Ci sono molti settori che producono elevati ed immediati livelli di profitto, devono aprirsi al capitale privato, è necessario rompere il monopolio.
Il motivo per cui oggi le imprese private non investono non è che non vogliono, ma dipende dal fatto che l’impresa manifatturiera tradizionale che permette loro di investire non gli garantisce più profitti; è possibile solo liberalizzare nuovi settori. In questo modo è possibile creare opportunità di occupazione e si può trainare l’economia. Un altro aspetto è che tutti i settori monopolistici producono enormi profitti. Ritengo che rompendo i monopoli, sia possibile restituire parte dei profitti delle banche alla società, all’industria e ai consumatori.
Che previsioni ha per il trend dell’economia cinese nel secondo semestre?
Ritengo che nel secondo semestre di quest’anno l’economia cinese probabilmente si stabilizzerà, ma difficilmente si riprenderà. Fino ad ora ci sono segnali di stabilizzazione economica, ma le esportazioni ed il consumo presentano dei pericoli nascosti. Ancora più importante è il fatto che senza riforme strutturali, fare affidamento sulla ritrovata stabilità risultante da misure anti-cicliche può solo preservare [lo stato attuale delle cose], ma non permette affatto di realizzare progressi significativi.
E’ possibile che la crescita economica arrivi ad una percentuale compresa tra il 7,5 per cento e l’8,5 per cento, e forse sarà così per un certo numero di anni. Ma solo se vi saranno progressi a livello istituzionale, quando si verificheranno nuove percentuali di crescita, l’economia cinese potrà realmente cambiare.
D’ora in poi, l’andamento del Cpi – l’Indice dei prezzi al consumo – nell’arco dei dodici mesi potrà essere molto interessante. La pressione dell’apprezzamento delle materie prime in futuro non sarà più evidente, la carenza di competenze capaci di aumentare il valore aggiunto [dei prodotti] da parte dei produttori, fatta eccezione per gli affitti e alcuni prodotti agricoli, fondamentalmente saranno questioni di minore rilevanza.
Per quanto il Cpi non sia ancora arrivato in una fase di deflazione, ritengo tuttavia che la Cina non debba più difendersi dall’inflazione ma dalla deflazione; in particolare, per quel che riguarda il grande crollo dei profitti delle imprese. Ciò che mi preoccupa di più sono gli investimenti nei beni durevoli.
In passato si è verificato un calo considerevole [di questi ultimi]; di recente il paese ha realizzato una serie di politiche, in particolare nell’ambito degli investimenti infrastrutturali e nei beni immobili, che hanno lasciato intravedere certamente segnali positivi. Ma, fino a che non si recupererà l’entusiasmo degli investimenti privati, non me la sento di essere troppo ottimista.
Lei ha sollevato il fatto che l’industria manifatturiera sta subendo una pressione deflattiva abbastanza importante, tuttavia c’è anche chi pensa che la Cina nel medio e lungo periodo sarà ancora soggetta ad inflazione, in particolare dopo il cambio di leadership è probabile che si verifichi un surriscaldamento degli investimenti, cosa ne pensa?
Questo è un modo di pensare invariabile. Nel corso della storia sicuramente è accaduto che, dopo un cambio di leadership, la forza degli investimenti di un governo locale sia aumentata leggermente, anche io prevedo che gli investimenti nei beni durevoli nel prossimo anno subiranno un certo rilancio. Tuttavia, non bisogna dimenticare che la principale forza degli investimenti fino ad ora è stata rappresentata da capitali diversi da quelli del governo.
Gli investimenti che non sono governativi o delle imprese statali rappresentano il 62 per cento degli investimenti complessivi in beni durevoli, se venissero a mancare gli investimenti privati, l’economia si troverebbe di certo in difficoltà. E’ possibile condurre occasionalmente, durante una crisi economica, la politica di stimolo fiscale del governo, però questa non può risolvere tutti i problemi; è necessario anche, allo stesso tempo, comprendere i rischi di lungo periodo di una eccessiva espansione della spesa pubblica.
Quest’anno la politica monetaria è stata allentata di molto, ma questa è la prima volta nei 63 anni della Repubblica che l’allentamento della politica monetaria non ha causato un rilancio degli investimenti nell’economia reale, perciò servirsi dell’esperienza della storia per giudicare l’andamento degli investimenti non è necessariamente corretto.
Oggi in Cina non è vero che il credito delle banche sia troppo limitato, sono le imprese che non hanno interesse ad investire. Non sono le banche che non vogliono prestare,sono i clienti di un certo livello che non ci sono. Temo che tutto ciò non sia così facile da risolvere come credono in molti.
[Quest’intervista è apparsa sul 21 Century il 21 agosto 2012. La traduzione è di Piero Cellarosi]