L’aeroporto di U-Tapao doveva diventare una base americana per esperimenti Nasa. L’opposizione ha bloccato l’accordo accusando la premier Yingluck Shiniwatra di volere in cambio un visto americano per il fratello Thaksin, ex premier in esilio. E la Cina ringrazia.
Nome in codice S.E.A.C4.R.S.: South East Asia composition, cloud, climate coupling regional study. Ovvero: riusciranno i thailandesi a imparare a non preoccuparsi e ad amare gli esperimenti meteorologici della Nasa?
Prima di venire temporaneamente “congelata” da una breve nota carica di rammarico emessa dall’ambasciata Usa a Bangkok, la risposta a questa kubrickiana domanda ha occupato per settimane intere pagine e svariate colonne di editoriali in tutta la stampa asiatica, suscitando polemiche aspre e tenzoni mediatiche tra il governo della premier Yingluck Shinawatra e l’opposizione.
A scatenare il tutto è stata la richiesta avanzata dagli Stati Uniti alla Thailandia di poter utilizzare l’aeroporto civile e militare di U-Tapao per condurre alcuni test nell’atmosfera e per avviare al tempo stesso la creazione di un centro di pronto intervento per le emergenze umanitarie nella regione.
Una domanda datata in realtà 2010 ma finita nel dimenticatoio fino a poche settimane fa, quando il termine ultimo utile per preparare le misurazioni e gli esami atmosferici da parte della National aeronautics and space administration ha cominciato ad avvicinarsi a grandi falcate, strappando le pagine del calendario con la foga di un ciclone.
Molti hanno bollato quella di Washington come una semplice richiesta di facciata, formulata per riottenere in realtà quel pied-à-terre nella provincia di Chonburi, meno di 200 chilometri a sud-est di Bangkok, che fu così strategicamente utile alle forze statunitensi durante la guerra del Vietnam e che ora potrebbe rivelarsi estremamente adatto a contenere l’influenza cinese nel continente e a tenere sotto controllo il traffico aereo, sia civile che militare, del quadrante.
Qualche commentatore si è spinto anche oltre, arrivando a sostenere che l’appoggio da parte della premier Shinawatra al progetto Usa, presentato all’opinione pubblica come la prima fase di un nuovo programma di collaborazione scientifica tra i due Paesi, sarebbe in realtà condizionato al rilascio di un visto americano per il fratello Thaksin, l’ex capo dell’esecutivo deposto dal movimento delle Camicie gialle e ancora in cerca di un posto dove godersi la vecchiaia dopo la scelta dell’autoesilio nel febbraio del 2008 per sfuggire a un mandato di cattura emesso dalla Corte suprema thailandese.
Il via libera che il Phak Phuea Thai, il partito al potere (la terza incarnazione del Thai Rak Thai, creato nel 1998 da Thaksin e poi dissolto nel 2007 dalla Corte costituzionale) era pronto a fornire a Washington si è così infranto contro il duro rifiuto del Phak Prachathipat, o Democratic party, la principale forza d’opposizione.
Usando toni populisti e invocando a gran voce la difesa dell’orgoglio nazionale, Abhisit Vejjajiva, già primo ministro tra il dicembre del 2008 e il maggio del 2011 e acerrimo rivale della Shinawatra, ha chiesto ripetutamente di sottoporre la questione della concessione della base aerea all’approvazione del Rathasapha ai sensi dell’articolo 190 della Costituzione, che prevede la convalida da parte del Parlamento di tutti gli accordi che comportino una cessione di sovranità o modifiche del territorio dello Stato.
Grazie alla sua insistenza Abhisit Vejjajiva ha ottenuto un successo, anche se parziale: il governo ha infatti acconsentito a ricorrere all’Assemblea nazionale, sebbene non in base all’articolo 190 ma al 179 della Carta fondamentale, che prevede un semplice dibattito e non richiede alcuna votazione.
Ad infiammare completamente gli animi già surriscaldati è arrivato poi un cortese ma fermo “ultimatum” da parte dell’ambasciatrice Usa Kristie Kenney, che il 21 giugno ha inviato una nota al governo spiegando che se l’approvazione all’uso della base di U-Tapao non fosse arrivata entro cinque giorni, la Nasa sarebbe stata costretta a desistere dal suo progetto per la mancanza dei tempi minimi necessari ad allestire attrezzature e macchinari necessari agli esperimenti, collegati a particolari condizioni atmosferiche riscontrabili solo nel mese di agosto.
E così in effetti è stato: con una piccola dilazione dei termini inizialmente fissati, alla fine della scorsa settimana l’ambasciata Usa a Bangkok ha comunicato che “unfortunately” l’amministrazione statunitense si vede per il momento obbligata a rinunciare agli esperimenti in programma.
Una dichiarazione che, lungi dal risolvere il problema, lo ha solo posticipato, dando il via a un rimpallo di responsabilità e di accuse incrociate tra l’esecutivo e il Democratic party.
All’indomani della comunicazione di “disdetta” di Washington, Prompong Nopparit, portavoce del Phak Phuea Thai, ha dichiarato alla stampa che il suo partito intende citare in giudizio il precedente governo di Abhisit Vejjajiva, colpevole di negligenza nell’adempimento dei propri doveri.
La maggioranza sostiene infatti che l’ex premier sarebbe il responsabile di questo “fallimento” perché, dopo aver sottoscritto nel 2010 l’accordo con gli Usa per la messa a disposizione di U-Tapao, lo ha successivamente lasciato dentro un cassetto, non preoccupandosi di informarne il Paese e di avviare un dibattito politico sulla questione.
Accuse che il Phak Prachathipat respinge al mittente, sottolineando che dopo aver preso il potere la premier Yingluck Shinawatra ha avuto più di un anno per sottoporre l’intesa con gli Stati Uniti al Parlamento. “Si tratta di un tema estremamente importante, che è stato per mesi in agenda senza che il governo abbia mossa un dito”, ha attaccato Korn Chatikavanij, ministro delle Finanze sotto Abhisit Shinawatra. “Cercare di addossare la responsabilità di quanto accaduto al Democratic party è semplicemente ridicolo”.
L’ex ministro ha aggiunto che quella dell’esecutivo è solo una mossa propagandistica per gettare discredito sull’opposizione, sottolineando che quella che viene presentata come “una grande opportunità sprecata” in realtà non è affatto persa, stante l’evidente interesse degli Usa. Sempre ammesso che durante la seduta di agosto il Rathasapha si pronunci in favore della concessione della base.
In effetti l’interesse degli Usa per U-Tapao è una delle poche certezze su cui il governo thailandese può contare in un momento difficile come quello che sta attraversando, con un’opposizione pronta o morderlo ai polpacci alla minima defaillance e una premier che evidentemente stenta a imporre la propria leadership.
Ma anche se, come sottolineato dallo stesso ministro degli Esteri Surapong Tovichakchaikul, il legame con lo storico alleato statunitense non è stato certo messo in discussione da questo piccolo “incidente”, Bangkok deve comunque fare i conti con le reazioni della Cina, che con ogni probabilità non gongola all’idea di vedere i cieli del Sud-Est asiatico riempirsi di aerei americani di stanza a U-Tapao e che non può non sospettare che il programma meteorologico Usa celi un intento spionistico.
In questa fase dunque, l’esecutivo di Yingluck Shinawatra è chiamato a uno sforzo di equilibrismo diplomatico che sconfina sempre più in una performance circense: mantenere ottimi rapporti con Washington, non innervosire Pechino ed evitare gli attacchi dell’opposizione.
Il tutto mentre anche i generali thailandesi cominciano a dare chiari segni di insofferenza, come dimostra il fatto che, pur avendo dichiarato in sordina di essere favorevoli alla concessione della base di U-Tapao, gli alti graduati non hanno voluto posare per una foto ricordo insieme alla premier durante uno dei loro ultimi incontri sulla questione
Come a dire, va bene un assenso passato quasi sotto silenzio, ma chiedere di metterci la faccia è veramente troppo.
E, come è noto, spesso in politica una foto negata vale più di mille parole, o di alcune decine di aerei supersonici Usa parcheggiati nel cortile di casa.
[Foto credit: chiangraitimes.com]
* Paolo Tosatti è laureato in Scienze politiche all’università “La Sapienza” di Roma, dove ha anche conseguito un master in Diritto internazionale, ha studiato giornalismo alla Fondazione internazionale Lelio Basso. Lavora come giornalista nel quotidiano Terra.