Zhou Yongkang è un ingegnere specializzato in esplorazione, classe 1942. Si guadagna la fama di “duro”, picchiando senza sosta contro la dissidenza tibetana e quella del Falun Gong. Una sua frase è famosa: “bisogna stroncare le forze ostili”. Il ritratto di China Files.L’uomo è chiuso in una stanza segreta; guarda l’orologio e osserva la data: 19 marzo 2012.
Ha assaporato l’aria: è uno che sa come funzionano le cose da queste parti. Di fronte a casa sua – quella ufficiale, a Zhongnanhai – ha fatto mettere un plotone di 36 paramilitari. Sono i suoi uomini: quelli che ha comandato, spinti a rimuovere ogni forma di dissidenza, convinti a smettere di bere e a obbedire. A lui, più che ad altri.
Fosse lì, ma essendo una persona previdente ha visto bene di non farsi trovare, da uno spiraglio di una finestra, potrebbe osservare la scena con divertito timore: ai suoi uomini sono contrapposti quelli del 38° battaglione della polizia di Pechino.
Li ha mandati il Presidente, inzuppato di panico dalle voci che davano l’uomo che non c’è in procinto di scatenare l’inferno. Un colpo di stato nella Cina del 2012. Inammissibile.
I soldati avanzano, non si fermano, procedono, obbediscono agli ordini del loro capo supremo: i paramilitari affrontano il “nemico”, specificando che in caso di attacco, considereranno i soldati alla stregua di “ribelli”. Che significa licenza di sparare e dare vita ad una carneficina. I soldati continuano la loro mossa. Ordini contro ordini.
A quel punto dai paramilitari si alza una voce riconoscibile e netta: quella degli AK47. Sono gli spari che nei giorni successivi faranno urlare al colpo di stato, allo scontro a fuoco a Zhongnanhai, con annesse leggende metropolitane, come i cinesi qualunque che affermano: “ho visto i buchi dei proiettili”.
Impossibile, gli spari sono in aria, alla luna, al massimo. I militari si fermano. Poco distante suona un telefono. Un uomo preoccupato risponde e dall’altra parte una voce lo rassicura: “non credere a quanto messo in giro da ostili stranieri o alle balle che ti raccontano i tuoi zelanti assistenti”. E tutto sembra tornare alla normalità.
E’ il teatro della politica cinese: uno spettacolo che non si vede, ma che bisogna interpretare. I fatti, quelli veri, sono tutti dietro, tra le quinte.
L’uomo che non c’era controlla tutto il settore petrolifero, è a capo degli organi di sicurezza cinesi, che significa comandare 800 mila poliziotti, paramilitari, è il numero nove del Politburo, si chiama Zhou Yongkang: il Darth Vader cinese.
Chi è vicino agli ambienti del Partito ha raccontato di una notte infuocata, qualche mese fa a Zhongnanhai, il Cremlino cinese. Sulla stampa occidentale si era parlato di golpe, tentato dagli alleati del fu Bo Xilai, ma pare che le cose siano andate in maniera diversa.
Preoccupato dai possibili risvolti, forse più in paranoia che oggettivamente suffragato da prove, Hu Jintao, il presidente, dopo la cacciata di Bo Xilai cambia i vertici dell’esercito.
Piazza a capo del 38° battaglione di Pechino (meglio conosciuto come unità 66393) un suo uomo, Xu Linping, come testimoniato da documenti pubblicati dal Baoding Daily.
Il 19 marzo quest’ultimo riceve l’ordine perentorio: portare blindati e uomini di fronte all’abitazione di Zhou Yongkang a Zhongnanhai. Lo racconta il magazine di Hong Kong Qianshao, noto per i suoi contatti con importanti membri del Pcc.
A questo punto sarebbe intervenuto l’onnipresente Jiang Zemin. Il vecchio marpione della politica cinese avrebbe chiamato il Presidente, rassicurandolo circa la fedeltà di Zhou Yongkang: secondo quanto riportato da Qianshao, Jiang Zemin avrebbe detto a Hu che Zhou sarebbe “un bravo compagno con grande spirito di sacrificio per il partito” e non sarebbe stato intenzionato a dare vita ad un colpo di stato. Messaggio chiaro: lascia perdere.
Da quel momento però, le voci su Zhou Yongkang diventano tante e irrefrenabili, in un circuito che pare andare in tilt: un giorno Zhou è fuori da ogni gioco, il giorno dopo torna e appare in pubblico. Quel che è certo è che è ancora in sella, a dimostrare come gli alleati di Bo non abbiano intenzione di fare la sua stessa fine. Specie se considerati, come Zhou, “potente tra i potenti”.
L’interesse di Jiang Zemin nei suoi confronti sembra essere una garanzia per la sua sopravvivenza politica: fu proprio Jiang Zemin, infatti, a decidere le sorti della sua carriera. Secondo molti osservatori fu la campagna contro il Falun Gong ad aprire la strada del potere all’oscurità burocratica di Zhou.
Zhou è un ingegnere specializzato in esplorazione, classe 1942, originario della provincia del Jiangsu. In precedenza era stato il direttore della Chinese National Petroleum Corporation, la più grande azienda del paese in fatto di petrolio e produzione di gas. Prima di diventare capo del ministero della Sicurezza pubblica cinese nel 2003, era stato a capo del partito nella provincia del Sichuan.
E’ nella regione meridionale che si guadagna la fama di “duro”, picchiando senza sosta contro la dissidenza tibetana e del Falun Gong (e non a caso poi da capo delle forze di sicurezza si distinguerà per la ferrea disciplina che imporrà ai suoi uomini). Zhou non ammette dissidenza, Zhou Yongkang ad esempio, impone ai suoi uomini il divieto di bere.
Zhou ha aderito al Partito comunista nel 1964 mentre studiava nel reparto di esplorazione del Petroleum Institute di Pechino. Dopo la Rivoluzione culturale fu mandato a lavorare in un team di rilevamento geologico nel nord-est della Cina e gradualmente ha cominciato a scalare posizioni, fino ad arrivare a padroneggiare la CNPC.
Già ministro delle risorse nel 1998 e nel 1999, nel 2007 diventa membro del Comitato Permanente del Politburo, di cui oggi è il numero nove. Comanda l’apparato di sicurezza del paese, che significa controllare polizia, tribunali, paramilitari e servizi. Una sua frase è famosa: “bisogna stroncare le forze ostili”.
Nel 2009 – ad esempio – quando c’è da gestire – o per meglio dire, “stroncare” – i disordini etnici dello Xinjiang, la regione occidentale a maggioranza musulmana, Hu Jintao manda lui. Se non avesse avuto successo nel risolvere il problema, il presidente avrebbe bruciato un potenziale nemico. Una strategia win-win.
Ma Zhou riesce nell’intento e comincia a tessere le sue fila. E’ il potere: ne vuole sempre di più. Rinsalda i legami con Bo Xilai nella schiera dell’ala di sinistra del Partito, quella che ha una ricetta diversa dall’amministrazione attuale Hu-Wen. Prima dell’epurazione di Bo Xiliai, Zhou era tra i pochi leader anziani a sostenere apertamente la campagna “rossa” che Bo aveva intrapreso a Chongqing.
“È evidente che si è messa in mostra la battaglia tra chi rimpiange il passato maoista (la fazione di Zhou e Bo) e quelli che vogliono un futuro più democratico e che sono rappresentati da Hu e Wen”, ha scritto il South China Morning Post, di Hong Kong.
Fonti interne al Partito citate dai media di Hong Kong, hanno riportato che Zhou è stato l’unico membro del Comitato permanente a disapprovare il modo in cui è stata gestita la vicenda Bo Xilai. E l’ha fatto in maniera aperta una settimana prima che Bo fosse ufficialmente sostituito nella carica di segretario di partito di Chongqing, arrivando a lodare pubblicamente i successi di Bo Xilai. Quanto basta per attirare su di sé più di un sospetto.
Nel maggio scorso si sono mossi anche alcuni veterani, con una lettera aperta ad Hu Jintao. Messaggio limpido: Zhou Yongkang deve cadere. Nella lettera Yu Yongqing, settantanovenne funzionario in pensione, afferma infatti che lui e altri quindici funzionari hanno motivo di credere che dietro alle illegalità commesse a Chongqing, ci sarebbe proprio la mano di Zhou.
Yu avrebbe infatti dichiarato che “Bo e Zhou hanno tratto dei vantaggi personali a costo di sacrificare il futuro dei cinesi e hanno speso somme enormi per opprimere i cittadini e perseguire i loro obbiettivi ‘nel nome della stabilità”. Nella lettera avrebbe anche aggiunto che lui e gli altri firmatari supportano il premier Wen e il segretario Hu.
Zhou però è ancora lì, anzi. In un discorso stampato sul quotidiano Qiushi, Zhou Yongkang ha espresso le proprie opinioni sulle forze di polizia cinesi.
Zhou avrebbe infatti richiesto ai funzionari che si occupano dell’applicazione della legge “di essere leali alla leadership del Presidente Hu Jintao, un cosa fattibile a patto che si eliminino le pratiche più dure, come la tortura e gli abusi sui prigionieri, che potrebbero violare i diritti dei sospettati”.
Una mano di bianco, sull’oscurità di Zhou, che potrebbe essere una mossa per ottenere tempo per riprendere la tessitura della propria rete. Zhou Yongkang, non sembra essere capace di arrendersi, ma piuttosto appare abile contorsionista politico, mimetico animale delle traiettorie più scure che si muovo all’interno del Partito comunista cinese.
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