Il dibattito sulla riforma dell’assistenza sanitaria negli Stati Uniti – l’Obamacare – rimbalza in Cina, Paese che sulla tutela universale della salute non se la passa poi tanto meglio. Centinaia di milioni di persone non hanno accesso alla sanità. E il futuro non promette miglioramenti. Il dibattito sulla riforma dell’assistenza sanitaria negli Stati Uniti – l’Obamacare – rimbalza in Cina, Paese che sulla tutela universale della salute non se la passa poi tanto meglio.
Qualche giorno prima che la Corte suprema Usa approvasse la legge, il conduttore televisivo Gao Xiaosong – dimenticate Pippo Baudo, lui sembra una rockstar grunge – ha spiegato ai cinesi, in una puntata del suo programma, il dibattito in corso negli Usa, definendolo senza mezzi termini “il tumore maligno nella società americana”.
Da cinese che ha vissuto in California, Gao ha spiegato che milioni di statunitensi non hanno accesso all’assistenza sanitaria a prezzi accessibili, che diversi presidenti sono passati impegnandosi a fare qualcosa senza poi farlo, e che Obama è riuscito a ottenere un disegno di legge attraverso il Congresso, solo per essere poi accusato di violare la Costituzione.
Ha poi raccontato alcune delle sue esperienze da immigrato in cerca di assistenza sanitaria: una volta, per esempio, lui e sua moglie sono andati alla ricerca di un pronto soccorso e hanno trovato tre cliniche per animali prima di arrivare a una per umani.
Ha infine fatto vedere un cartone animato in stile “South Park” dal quale si apprende che cinquanta milioni di persone, un sesto del paese, non hanno assicurazione sanitaria; che queste persone vivono nel terrore di ammalarsi, ma che ci sono altri americani che non vogliono pagare più tasse per assicurarli.
Il cartoon si conclude con Obama in lacrime che implora: “Popolo americano, siete veramente difficili da servire! Che cosa volete veramente che faccia?”
Da che pulpito, verrebbe da dire.
In Cina, dopo lo smantellamento del sistema socialista (cioè dopo le cosiddette “riforme”) si è costituito piuttosto anarchicamente (la ben nota “anarchia del mercato”) un sistema tripartito.
Chi fa parte di una danwei (l’unità di lavoro in cui si raggruppa, dagli operai ai tassisti, chi ha un regolare contratto) beneficia del sistema sanitario gratuito: se si ammala, va in ospedale con la sua tessera sanitaria. A seconda della sua anzianità di servizio, ha le spese mediche coperte sia dalla danwei sia dallo Stato.
Gli statali accedono invece al sistema sanitario pubblico: pagano tutto di tasca loro e poi vengono rimborsati dallo Stato dietro presentazione delle ricevute.
Tutti gli altri si arrangiano. Così si spiega, per esempio, la ben nota vocazione dei cinesi a risparmiare dato che, se si ammalano e non hanno denaro, possono tranquillamente morire.
Agli ospedali sono stati inoltre tagliati i finanziamenti, così molti medici prendono mazzette sottobanco da pazienti che si presentano spesso in clinica con rotoli di renminbi in tasca. Altro elemento di diseguaglianza.
A dire il vero, il governo ha provato a compiere delle riforme, introducendo per esempio la sanità gratuita per i bambini e gli anziani.
Ma centinaia di milioni di persone restano ancora escluse, soprattutto i migranti che dalle campagne vanno a lavorare in città sprovvisti di hukou, la registrazione di residenza che dà accesso ai servizi base.
Attenzione però. Non è lo stato delle cose negli Usa a lasciare stupefatti i cinesi (e a giustificare la “performance” di Gao Xiaosong): è lo stato del dibattito.
A differenza che negli Stati Uniti, in Cina la discussione si è conclusa anni fa: sulla questione economica di base, sul principio filosofico, sul fatto che il paese sia più forte se tutti hanno un’assicurazione sanitaria, ogni cinese è d’accordo. Non se ne parla neppure.
Oltre Muraglia, sanno di essere in un paese per molti versi ancora in via di sviluppo. Ma piano piano – pensano – andrà meglio. Secondo dati Ocse, il novantacinque per cento della popolazione ha ora una qualche forma di assicurazione sanitaria.
Di tasca loro, i pazienti pagano per il trentacinque per cento della spesa sanitaria totale, rispetto al 60 per cento e oltre di dieci anni fa. Piano piano.
Per questo lascia stupefatti che negli Usa ci sia addirittura un partito (su due) che è assolutamente contrario al principio di sanità universale. Cosa ci guadagnano? Si dice. Quei repubblicani devono proprio essere pazzi, che autogol, per forza Obama vince.
La libertà, la democrazia, il progresso, non sono forse misurabili in beni molto materiali? Altrimenti, a che servono? È questa la leva su cui può fare affidamento il Partito comunista. Ma anche la sua condanna. Finché riuscirà a garantire prospettive di benessere resterà in sella. In caso contrario, chissà.
* Gabriele Battaglia è fondamentalmente interessato a quattro cose: i viaggi, l’Oriente, la Rivoluzione e il Milan. Fare il reporter è il miglior modo per tenere insieme le prime tre, per la quarta si può sempre tornare a Milano ogni due settimane. Lavora nella redazione di Peace Reporter / E-il mensile finché lo sopportano.
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