A Shifang sono stati giorni di protesta. Almeno tredici feriti negli scontri con la polizia. È la protesta ambientale più intensa dall’estate scorsa. Decine di migliaia di cittadini scesi in strada hanno ottenuto il rispetto dell’ambiente e della loro salute. E ora chiedono la liberazione di chi è stato arrestato. Continuano le proteste a Shifang, nella Cina centrale. I cittadini locali erano scesi in piazza nella giornata di domenica, dando vita a manifestazioni violente poi soppresse dalla polizia.
Lunedì avevano ottenuto un risultato: bloccare la costruzione di un impianto chimico che, secondo i manifestanti, avrebbe dato il colpo di grazia alla già difficile situazione ambientale della zona.
Le proteste non si sono però fermate, hanno solo cambiato contenuto, e ora i cittadini chiedono la liberazione di chi è stato arrestato nei giorni scorsi.
La cittadina di Shifang – già colpita duramente dal terremoto del 2008 – era stata scelta per la costruzione di un impianto di lavorazione del rame molibdeno.
I residenti locali, però, si erano apertamente schierati contro tale opera, sostenendo che i rischi per la salute sarebbero stati troppo elevati.
Non avendo ricevuto ascolto dalle autorità – e dopo l’approvazione definitiva del progetto alla fine della scorsa settimana – decine di migliaia di persone si sarebbero riversate nelle strade prendendo di mira la sede dell’amministrazione locale.
Negli scontri con la polizia ci sarebbero stati almeno tredici feriti, ma l’obbiettivo dei manifestanti è stato raggiunto, e le autorità hanno dichiarato sospeso fino a nuovo ordine il progetto.
Ma non è bastato a placare gli animi dei residenti locali, che ora vorrebbero il rilascio di chi è stato arrestato.
Secondo quanto riportato dal South China Morning Post sulla base di informazioni presenti sui social media cinesi, “nella tarda nottata di ieri migliaia di residenti si sono nuovamente radunati di fronte alla sede del governo locale chiedendo il rilascio di un numero imprecisato di persone – soprattutto studenti – detenute durante i tre giorni di dimostrazioni”.
La stessa notizia è riportata anche sul Financial Times, che ha scritto: “Secondo alcuni post apparsi su Weibo, il sito per blogger cinesi, [anche dopo le dichiarazioni delle autorità] i manifestanti continuavano ad occupare il centro della città chiedendo il rilascio di alcuni studenti che erano stati arrestati durante le proteste”.
Secondo alcuni testimoni, dalla piazza si sarebbero levati slogan come “lasciate andare i ragazzi”.
Il China Daily ha reagito con un editoriale che, se non loda, certo non critica i manifestanti: “Vero, la scarsa conoscenza scientifica dei residenti locali potrebbe fermare alcuni progetti che varrebbe la pena di portare avanti” ma “non c’è nulla di male se i cittadini esprimono le loro preoccupazioni per la propria salute e per l’ambiente”. Anzi, la partecipazione sarebbe positiva per il paese e per la crescita economica.
Anche il Global Times – nella sua versione cinese – ha detto che la verità non si può più nascondere alla gente e che le autorità devono valutare con cautela i progetti che potrebbero causare danni all’ambiente.
La protesta di Shifang ha attirato l’attenzione dello scrittore-sexsymbol Han Han, che ha criticato l’amministrazione della cittadina affermando: “Voglio dire alle autorità di Shifang che questo non è un terremoto, questa non è un’emergenza. Le richieste della gente per migliorare l’ambiente devono essere rispettate”.
E ha aggiunto che, pur non essendo un esperto in tema di ambiente, a parer suo “gli incidenti non dovrebbero essere gestiti in questo modo”.
Le proteste Di Shifang non rappresentano affatto un caso isolato. Il Wall Street Journal le paragona con quelle – molto più pacifiche – avvenute nella città di Dalian l’anno scorso, quando “circa 12mila persone chiesero al capo del Partito della città di spostare un impianto petrolchimico”.
Il Financial Times ha sottolineato come già la scorsa settimana “migliaia di residenti della città di Canton avevano fatto una petizione perché il progetto per la costruzione di un inceneritore fosse spostato altrove”.
Un rapporto della Banca mondiale spiega in modo chiaro la radice di questo fenomeno: in Cina, ogni anno, 750mila persone muoiono prematuramente a causa dell’inquinamento.
* Michele Penna è nato il 27 novembre 1987. Nel 2009 si laurea in Scienze della Comunicazione e delle Relazioni Istituzionali con una tesi sulle riforme economiche nella Cina degli anni ‘80-’90. L’anno seguente si trasferisce a Pechino dove studia lingua cinese e frequenta un master in relazioni internazionali presso l’Università di Pechino. Collabora con Il Caffè Geopolitico, per il quale scrive di politica asiatica.
[Scritto per Lettera 43; Foto Credits: abc.net.au]