Per combattere la corruzione dilagante, i vertici militari hanno approvato un emendamento secondo il quale gli alti ufficiali delle forze armate dovranno rendere noti i propri patrimoni alle autorità di controllo. Lo ha voluto Hu Jintao: buone intenzioni, o mossa politica? Il 20 di giugno il Dipartimento politico generale dell’Esercito di liberazione popolare e il suo ente di controllo hanno passato un emendamento ai regolamenti vigenti secondo il quale gli alti ufficiali dovranno notificare il loro patrimonio agli organi di controllo.
La decisione è stata presa dopo aver ricevuto l’approvazione da parte della Commissione militare centrale, e sembra che dietro al provvedimento ci sia lo zampino di Hu Jintao, il presidente della Repubblica. L’obiettivo sarebbe la riduzione della corruzione interna alle forze armate.
La corruzione rappresenta una delle sfide più difficili da affrontare per la leadership cinese. È dilagante, arriva ovunque e non risparmia nessuno.
I cittadini cinesi sono sempre meno soddisfatti delle qualità morali dei loro politici e stanno cominciando a far sentire la propria voce. L’esempio più recente risale ad alcuni mesi fa, quando 180 persone hanno firmato una petizione online invitando il governo a rendere pubblici dati relativi ai loro redditi.
I temerari sono stati tutti interrogati dalla polizia e la petizione è morta nella culla, ma il gesto testimonia il crescente interesse della società civile per questo tema.
In questo quadro, è stato proprio Hu Jintao ad ergersi come difensore della legalità. Resta però da chiarire se la sua lotta sia disinteressata o se nasconda un piano politico. A Xi Jinping, che sostituirà Hu in autunno, farebbe infatti comodo partire senza fastidiose opposizioni politiche.
Secondo quanto è stato riportato dal People’s Liberation Army Daily, i nuovi regolamenti richiedono agli ufficiali di “registrarsi e fare rapporto agli organi di controllo sui propri patrimoni, proprietà e investimenti”.
Il South China Morning Post ha scritto che “Antony Wong Dong, presidente dell’Associazione Militare Internazionale con sede a Macao, ha dichiarato che l’emendamento è una misura ‘attesa da tempo e rivoluzionaria’ per combattere la sfacciata e diffusa corruzione fra gli ufficiali superiori dell’Esercito di Liberazione”.
Anche Tencent News ha accolto la notizia con entusiasmo, affermando che il provvedimento “ha una grande importanza per la promozione di ufficiali puliti”.
La corruzione delle forze armate è un fenomeno imponente. La stampa di Hong Kong ha scritto che “l’Esercito di liberazione popolare – e soprattutto la sua leadership di alto e medio livello – è stato afflitto da scandali legati alla corruzione che hanno rovinato l’immagine dei militari sia in patria che all’estero” e ha riportato due casi emblematici del fenomeno.
Uno è quello del Generale Gu Junshan, che “è stato licenziato dal suo posto come capo del Dipartimento generale per la logistica dell’Esercito di liberazione ed è stato indagato perché sospettato di aver intascato delle tangenti”.
L’altro è quello menzionato da un certo Zhang Musheng, ricercatore nel settore dell’agricoltura vicino alle alte sfere dell’esercito, secondo il quale “un generale proveniente dallo Shanxi avrebbe acquistato del terreno nel cuore di Shanghai a 20 milioni di yuan per mu [un mu corrisponde a 667 metri quadri n.d.a.] e lo avrebbe rivenduto ad un uomo d’affari per due miliardi di yuan a mu”.
Antony Wong Dong ha anche offerto una chiave di lettura alternativa e complementare della vicenda. In realtà Hu potrebbe non essere tanto un paladino di legalità e di interessi popolari, quanto un abile intrallazzatore politico.
Secondo Wong, “Hu potrebbe anche voler usare questa chance per sbarazzarsi dell’influenza degli alleati di Jiang Zemin, ex Presidente della Commissione Militare Centrale, nelle forze armate e aprire la strada al suo successore Xi Jinping”.
Con qualsiasi intenzione venga portata avanti, un’azione contro la corruzione rischia di infrangersi l’ostilità degli interessati. Per Wong Dong, infatti, “ci sarà molto probabilmente una straordinaria resistenza allo sforzo contro la corruzione da parte degli ufficiali”.
* Michele Penna è nato il 27 novembre 1987. Nel 2009 si laurea in Scienze della Comunicazione e delle Relazioni Istituzionali con una tesi sulle riforme economiche nella Cina degli anni ‘80-’90. L’anno seguente si trasferisce a Pechino dove studia lingua cinese e frequenta un master in relazioni internazionali presso l’Università di Pechino. Collabora con Il Caffè Geopolitico, per il quale scrive di politica asiatica.
[Scritto per Lettera43; Foto Credits: aviewfromtheright.com]