In Cina esplode il caso degli abusi sessuali sui più piccoli. Sono soprattutto i figli di migranti che si sono trasferiti in città per cercare lavoro. Il sistema di residenza obbligatoria costringe milioni di bambini a rimanere nei villaggi. Serve una riforma, ma si rischia di danneggiare i contadini. Esplode il caso dei bambini vittime di violenze sessuali. Sono soprattutto figli di migranti, i cosiddetti “lasciati indietro”, che restano nelle campagne con i nonni (se va bene), mentre i genitori cercano lavoro nelle grandi città.
L’ultimo caso è quello di Liu Junhong, 28 anni, un insegnante del Gansu che avrebbe violentato cinque sue allieve. La più grande ha 13 anni, sono tutte figlie di migranti e una di loro ha dichiarato: “Mia madre è troppo lontana”.
La maggior parte dei casi non emerge alla luce del sole, denuncia Global Times, a causa della “vergogna dei bambini e dello stigma sociale legato agli abusi sessuali”, soprattutto nelle zone rurali del grande paese.
“Uno dei casi più scioccanti – continua lo spin-off del Quotidiano del popolo – è emerso lo scorso anno, quando si è scoperto che una dodicenne di nome Xiaoli (pseudonimo), di Guxian, contea di Yanshi, provincia dell’Henan, era incinta di quattro mesi.
L’unica persona che accudisse Xiaoli era sua nonna 65enne. La bambina era stata abusata sessualmente da un uomo soprannominato Li, che viveva nella stessa contea. Li aveva più volte molestato Xiaoli a casa sua, minacciando di gettarla nel fiume se avesse parlato degli abusi con qualcuno”.
Nella sola Guxian l’anno scorso sono stati riportati 19 casi simili.
Un’organizzazione femminile del Guangdong ha condotto una ricerca sui bambini della provincia che vivono senza genitori. Secondo lo studio, negli ultimi tre anni, 2.506 minori hanno subito violenze sessuali e fra loro oltre la metà aveva meno di 14 anni.
Le cifre dell’Ufficio nazionale di statistica rivelano che nel 2011 i lavoratori migranti sono stati oltre 158 milioni in tutta la Cina, in crescita del 3,4 per cento rispetto al 2010.
I bambini “lasciati indietro” sono 58 milioni: il 70 per cento sono accuditi dai nonni mentre il 5 per cento vive per conto proprio, secondo la Federazione delle donne di tutta la Cina.
Una ricerca condotta da chinachild.org, un sito per la tutela dei diritti dell’infanzia, rivela che oltre l’80 per cento dei pedofili sono noti alle vittime e alle loro famiglie; la maggior parte ha un’età compresa tra i 50 e gli 82 anni.
Un fattore che contribuisce alle violenze è l’inconsapevolezza dei bambini. L’educazione sessuale non è obbligatoria a scuola e in genere i nonni si guardano bene dal dare informazioni ai nipoti sull’argomento.
“Avremmo voluto fare corsi di educazione sessuale ai bambini, ma siamo stati messi alle strette dai genitori e dalle scuole stesse, che ci hanno chiesto il motivo per cui non cercassimo invece di migliorare i loro voti”, spiega al Global Times Wang Ling, ricercatore della Società cinese per la pubblica istruzione.
I casi di violenze sessuali su minori riaprono anche le polemiche sull’hukou, il sistema di residenza obbligatoria che vincola i cinesi al proprio luogo natale dando loro diritti specifici solo in quella zona.
I migranti che dalle campagne muovono in città si trovano sprovvisti di qualsiasi diritto di cittadinanza proprio a causa dell’hukou, in quanto non residenti. Sono così “carne da lavoro” senza servizi fondamentali, tra cui l’istruzione per i figli.
Pochi giorni fa, alcune famiglie migranti con tanto di prole hanno per questo motivo inscenato una protesta davanti al distretto scolastico di Fengtai, a Pechino.
I cartelli, rivolti al premier Wen Jiabao, riportavano scritte come “Nonno Wen, voglio andare a scuola”.
Nella capitale cinese, l’anno scorso sono state chiuse decine di “scuole per migranti”, istituzioni private che sopperiscono all’assenza di istruzione per i figli di chi, senza hukou, viene a Pechino per lavoro.
Si calcola che circa 14mila minori siano rimasti senza possibilità di istruzione.Questo caso esemplare spiega perché molti migranti preferiscano lasciare i figli a casa, lontano.
Da diversi anni si parla di una riforma dell’hukou. Le proposte che vanno per la maggiore, nel segno del mercato, punterebbero sul “libero scambio” della residenza: se io, abitante delle campagne, mi trasferisco in città, posso scambiare il mio hukou rurale con quello urbano.
C’è però chi critica questi tentativi di riforma, perché vede nell’hukou, tutto sommato, una tutela per i contadini. Eliminarlo sarebbe per costoro un ulteriore passo verso la privatizzazione delle terre agricole a vantaggio degli interessi speculativi.
Secondo il sistema attualmente in vigore, i residenti rurali possono infatti accedere alle terre comuni del proprio villaggio di residenza anche dopo molti anni trascorsi in città come migranti.
Introdurre un sistema di libero scambio della residenza rurale con quella cittadina o eliminare del tutto l’hukou – sostengono i critici “di sinistra” – indurrebbe molti giovani delle campagne ad abbandonare il luogo d’origine, ritrovandosi dopo anni – magari dopo una crisi economica – senza il paracadute del pezzetto di terra e dell’economia informale a cui fare ritorno.
Non resterebbe loro altra alternativa che recitare la parte di esercito industriale di riserva per tutta la vita.
La discussione continua e la riforma non si vede ancora all’orizzonte. Nel frattempo, i bambini delle campagne restano con i nonni.
* Gabriele Battaglia è fondamentalmente interessato a quattro cose: i viaggi, l’Oriente, la Rivoluzione e il Milan. Fare il reporter è il miglior modo per tenere insieme le prime tre, per la quarta si può sempre tornare a Milano ogni due settimane. Lavora nella redazione di Peace Reporter / E-il mensile finché lo sopportano.
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