Una vignetta pubblicata nel 1949 spaventa la politica indiana. Via tutti i fumetti dai libri di scuola e messaggio implicito al popolo indiano: i politici non si criticano, nemmeno per ridere. Ecco perché il parlamento ha paura dei vignettisti di ieri e degli (e)lettori di domani.
Il variegato arco politico indiano, con un certo stupore, recentemente si è mostrato sospettosamente unito e deciso a combattere uno dei mali che attanagliano il Paese.
Inflazione? Occupazione? Discriminazione sessuale? Corruzione?
No. Trattasi di satira, in particolare quella a fumetti.
Due settimane fa i lavori del parlamento si sono improvvisamente incagliati su una controversia tutto sommato risibile, ma che la politica indiana ha immediatamente considerato materiale degno di intervento.
Si tratta di una vignetta satirica riprodotta su un manuale di scienze politiche destinato alle scuole superiori indiane, redatto sotto la supervisione del National Council of Educational Research and Training (NCERT), organizzazione di accademici appuntata dal governo indiano per curare i testi in dotazione nelle scuole dell’Unione.
La vignetta, disegnata dal padre dei cartoni politici indiani K. Shankar Pillai, ritrae due mostri sacri delle istituzioni indiane alle prese con la complicata redazione della Costituzione.
Jawaharlal Nehru, primo premier dell’India indipendente, sprona con una frusta B.R. Ambedkar, pioniere dei diritti dei dalit, a sua volta a cavalcioni su una lumaca chiamata “Costituzione”.
La scenetta satirica, disegnata nel 1949, non solo all’epoca non era stata né censurata né particolarmente osteggiata dall’establishment politico – avevano ben altro di cui preoccuparsi! – ma era stata inserita nei libri di testo indiani ben sei anni fa. Nessuno, evidentemente se ne era accorto.
L’indignazione dell’ala dalit del parlamento è arrivata soltanto nella prima metà di maggio, quando la condanna del fumetto da parte di un esponente del partito repubblicano ha infiammato entrambe le camere, costringendo il ministro dell’Educazione Kapil Sibal a scusarsi pubblicamente per l’accaduto e a spingere per l’eliminazione di ogni fumetto satirico dalle pagine dei libri di scuola.
Secondo gli ultrà devoti ad Ambedkar, la vignetta è un insulto alla memoria dell’uomo simbolo della lotta degli intoccabili e rischia – fatto ben più grave – di “influenzare le menti” dei giovani studenti indiani.
Da maggioranza ad opposizione, tutta la politica si è chiusa a riccio sul caso, schierandosi a difesa della categoria e bloccando di fatto la sessione parlamentare. Che i delegati fossero tenuti a pronunciarsi su questioni molto più impellenti, come ricorda il Wall Street Journal, è fatto marginale.
In un tempo di crisi economica e profonda sfiducia da parte dell’elettorato, i partiti indiani non riescono a pensare – a modo loro – che in termini di consensi.
L’apprensione è andata immediatamente alla salvaguardia dell’elettorato dalit che, oltre ad avere un peso specifico consistente in molti stati dell’Unione – come nelle ultime elezioni in Uttar Pradesh – è soggetto molto sensibile alla sindrome della massa che caratterizza la “pancia” di una certa fetta della società indiana. Basta una scintilla e il dispiegamento fisico del dissenso può essere fatale.
A dimostrazione plastica del fenomeno, un gruppetto di studenti di Pune ha pensato di dimostrare la propria insofferenza alla satira su Ambedkar piombando nello studio di un professore affiliato al NCERT, saccheggiandolo.
La mancanza di ironia e la permalosità diffusa che contraddistingue la politica indiana di oggi ha spinto la stampa a reagire, ricordando sia la grande tradizione della satira politica a fumetti indiana, sia la statura dei politici del passato, decisamente più sportivi davanti alle critiche della stampa.
Rajdeep Sardesai, su Firstpost, racconta un aneddoto risalente al 1962. Nehru, all’epoca in aperta polemica col suo ministro della Difesa Krishna Menon all’indomani del conflitto sino-indiano, viene ritratto dal vignettista satirico R.K. Laxman.
Il primo ministro alza il telefono e chiama Laxman. Il disegnatore, che temeva di incorrere nella sfuriata telefonica dell’uomo più importante del Paese, si sente invece dire: “Signor Laxman, la sua vignetta di stamattina mi è piaciuta tantissimo. Posso averne una copia ingrandita, incorniciata ed autografata?”
Comportamenti del genere appaiono oggi lontani mille anni luce se paragonati alla scarsissima autoironia dei politici contemporanei.
Mamata Banerjee, chief minister del Bengala Occidentale, alcune settimane fa è salita nuovamente agli onori della cronaca per aver fatto incarcerare un professore della Jadavpur University (JU) di Calcutta, reo di aver divulgato tramite internet una vignetta a lei scherzosamente dedicata.
L’episodio, che ha spinto studenti ed accademici a protestare per le strade di molte città dell’Unione indiana, è stato rilanciato qualche giorno fa grazie ad un dibattito televisivo organizzato dall’emittente Cnn-Ibn per celebrare il primo anno di Mamata Banerjee alla guida del Bengala Occidentale.
Bersagliata dalle domande degli studenti della JU, che chiedevano chiarimenti sull’arresto del professore e sulla libertà di espressione nello stato, Mamata ha letteralmente perso il lume della ragione, sbraitando contro gli studenti “amici dei maoisti” e “sostenitori del Partito comunista indiano marxista” e, come nella migliore delle tradizioni nostrane, abbandonando il set televisivo.
Il caso, purtroppo, ribadisce i veri problemi atavici che immobilizzano la società indiana.
Una classe politica che agisce esclusivamente in funzione pro-voto, schierandosi di volta in volta non in base a principi virtuosi sanciti, tra l’altro, dalla stessa Costituzione, ma curandosi solo della matematica delle preferenze elettorali, sotto costante ricatto delle sfuriate di questa o quella minoranza.
Oggi i dalit, ieri i musulmani contro Salman Rushdie, l’altroieri gli hindu contro le divinità nude dei quadri di M.F. Hussain.
Un parlamento impossibilitato nella sua azione legislativa da periodici “scandali” che paralizzano l’iter di decreti urgenti.
Una classe dirigente fuori tempo massimo e con una struttura mentale del secolo scorso, che ricorre alla censura nascondendosi dietro al ruolo paternalista che la società indiana accorda agli anziani: bambini, non guardate le vignette, rimanete puri.
“Una vignetta non può portare alla rivoluzione. Aiuta semplicemente la gente a farsi una propria opinione” ha dichiarato il vignettista Ismail Lahari a Tehelka.
Qui non ci sentiamo di aggiungere altro.