Il Beijing Daily attacca l’ambasciatore americano Gary Locke con un post su Weibo. Gli chiede di pubblicare le sue proprietà. Non incontrando resistenza la velata accusa di corruzione si trasforma in un boomerang. E il web insorge contro i funzionari cinesi che non dichiarano il loro reddito. Il 15 marzo il Beijing Daily ha pubblicato un post su Weibo, il Twitter cinese, chiedendo all’ambasciatore americano Gary Locke, in tono polemico, di rendere note le sue proprietà.
Ma l’attacco si è ritorto contro chi lo aveva architettato quando il Dipartimento di Stato non ha esitato a rendere pubblici gli introiti di Locke e degli altri funzionari dell’amministrazione sulla sua pagina del popolare social media cinese. Lo racconta oggi 18 maggio il South China Morning Post.
Secondo quanto è stato reso noto, l’ambasciatore guadagna oltre 179mila dollari all’anno e riceve altri 30mila dollari per ognuno dei suoi figli (da spendere per la loro educazione). Possiede 23 assets con un valore compreso tra poco più di 2 e poco più di 8 milioni di dollari. Ha inoltre un debito compreso tra i 500mila e il milione di dollari.
Non sono certo noccioline. Locke è infatti il sesto funzionario più ricco del ramo esecutivo dell’amministrazione americana. Ma, a differenza dei funzionari cinesi, le sue proprietà sono note.
Proprio per questo motivo, come scrive il South China Morning Post, “la risposta ha scatenato un forte dibattito online sulla mancanza di trasparenza delle autorità cinesi e sulla diffusa corruzione”. “Un gruppo di funzionari stranieri ha reso noto il loro reddito. Cosa potrebbe essere più umiliante di questo?” si interroga un netizen.
Gary Locke, poi, non è un funzionario qualsiasi. A parte il fatto di rappresentare la prima super potenza del pianeta, l’ambasciatore americano è stato anche al centro di recenti polemiche legate al caso di Chen Guangcheng, l’attivista cieco che, forse, lascerà la Cina per recarsi negli Stati Uniti.
Chen è un avvocato che ha speso anni a rendere noti gli abusi subiti dalle donne incinta a causa della politica del figlio unico. Inviso alle autorità, era stato costretto agli arresti nel piccolo villaggio dove viveva. Dopo una lunga prigionia è riuscito però a fuggire, trovando rifugio proprio all’ambasciata americana e creando così una crisi diplomatica, con al centro la figura di Locke, additato da Pechino come "un piantagrane".
A rendere l’ambasciatore ancora più difficile da tollerare per le autorità di Pechino è la sua immagine di comune cittadino americano, che porta uno zaino e prende il caffè da Starbucks.
Infatti, come ricorda il South China Morning Post, “Gary Locke, divenuto ambasciatore ad agosto, ha coltivato un’immagine molto diversa da quella stereotipica del funzionario cinese corrotto, noto per le spese folli in cibo e bevande a spese dei cittadini.”
Proprio per queste ragioni, in passato la stampa cinese non ha esitato ad attaccarlo. Sempre il quotidiano di Hong Kong scrive che di lui lo stesso Beijing Daily si era chiesto se “stia cercando di migliorare le relazioni sino-americane o stia invece usando qualsiasi mezzo per puntare il dito contro i difetti [della Cina] e creare problemi, un atteggiamento che potrebbe creare delle divisioni ancora più profonde fra la Cina e gli Stati Uniti”.
Dato questo scenario politico il fallimento dell’attacco diventa ancora più bruciante, e lo dimostra il fatto che il post sia subito sparito da internet. Per il gruppo dirigente cinese, che esce malamente sconfitto dal confronto con le autorità americane, la vicenda è una lezione in tema di trasparenza e responsabilità.
La sintetizza, sempre sul China Morning Post, Wang Yukai, professore presso presso l’Accademia cinese di governance: “la pubblicazione dei dati ha dimostrato che gli Stati Uniti sono molto trasparenti per quanto riguarda i redditi e le spese legati al proprio sistema politico, tanto che possono permettersi di renderli pubblici in ogni momento.
Anche se i nostri sistemi sono diversi, questa storia resta un avvertimento per noi: la Cina non ha alcuna politica per rendere note al pubblico le proprietà dei funzionari e dovrebbe accelerare il ritmo al quale rivela le informazioni.”
* Michele Penna è nato il 27 novembre 1987. Nel 2009 si laurea in Scienze della Comunicazione e delle Relazioni Istituzionali con una tesi sulle riforme economiche nella Cina degli anni ‘80-’90. L’anno seguente si trasferisce a Pechino dove studia lingua cinese e frequenta un master in relazioni internazionali presso l’Università di Pechino. Collabora con Il Caffè Geopolitico, per il quale scrive di politica asiatica.
[Scritto per Lettera 43; Foto Credits: quotestemple.com]