Anche le formiche nel loro piccolo…

In by Simone

I workhaolics, i “malati da lavoro”, in Cina sono tanti. Soprattutto tra i colletti bianchi, soprattutto le cosiddette "formiche". Sono giovani, intraprendenti, acculturati, disciplinati e pronti a sacrificarsi per il lavoro. Ma se perdono la pazienza, potranno diventare un problema sociale serio. I cinesi lavorano sodo. E non solo nei campi o alla catena di montaggio. I lavoratori migranti, i contadini e generalmente coloro che vivono nelle aree meno sviluppate del paese sono più svantaggiati. Ma anche per il nuovo ceto medio, quello che un paio di anni fa il China Daily definì “la nuova sottoclasse cinese”, non sono esattamente rose e fiori.

Secondo il 2012 Chinese Workplace In Balance Index Research Report, un rapporto redatto dal sito statunitense Job.com insieme all’Università di Pechino, infatti, il lavoro avrebbe letteralmente “colonizzato” le vite degli impiegati d’ufficio.

Nel corso dell’indagine sono stati raccolti oltre 30mila questionari dai quali è emerso che l’impiegato medio lavora più di otto ore al giorno, con più del 30 per cento degli intervistati impegnati addirittura tra le 10 e le 16 ore giornaliere. Due terzi di loro, inoltre, si porta il lavoro a casa.

Risultato: i cosiddetti workhaolics, i “malati da lavoro” che non riescono a staccare la spina, arrivano ad avere settimane di oltre 67 ore lavorate, con punte di 77. Il campione in questione è composto soprattutto da maschi in giovane età, tra i ventidue e i trent’anni. E, non c’è da stupirsi, tendenzialmente sono scapoli.

Nonostante le lunghe giornate di lavoro, quasi il 74 per cento degli impiegati prende meno di 5mila rmb (600 euro circa) al mese. Uno stipendio che in una grande città non permette certo troppi svaghi. Diventa così difficile smaltire adeguatamente lo stress.

A peggiorare le cose per la nuova “sottoclasse” c’è l’inflazione, che in Cina cresce perfino più veloce del Pil. Tutti i prezzi aumentano, ovunque: dalla merce venduta sulle strade ai prodotti alimentari, dai ristoranti ai negozi di abbigliamento. Ciò che ieri costava 10 oggi costa 11. E domani probabilmente costerà 12.

Persino il banchetto che vende malatang – spiedini bolliti in salsa piccante – vicino l’Università di Pechino ne è consapevole. Lo rende noto con un cartello: “abbiamo aumentato i prezzi a causa dell’inflazione. Scusateci”.

La principale preoccupazione sono gli affitti, che nelle città di prima fascia si aggirano intorno ai 5mila euro all’anno. E per un paese in cui il reddito pro capite nel 2010 era di poco superiore ai 3mila euro non è uno scherzo.

Certo, nei grandi centri i salari sono più alti. Ma non di molto, e così sono in tanti a trovarsi costretti a condividere un appartamento. Anche se non più giovanissimi.

Queste problematiche affliggono soprattutto i giovani, costretti a una dura competizione fin dalla scuole. Il gaokao, l’esame che attende gli studenti al termine delle superiori, decide chi potrà accedere a una buona università e chi è destinato a fermarsi. Solo i primi una volta conseguita la laurea potranno trovare un lavoro nell’ufficio di qualche azienda.

Ma spesso, neanche questo basta. Molti dei giovani che escono dagli atenei – milioni ogni anno – faticano a trovare un impiego e si devono accontentare di ciò che trovano.

Un fortunato studente universitario della facoltà di filosofia dell’Università di Pechino ce lo conferma raccontandoci che “il primo stipendio di chi esce dalle università è in media di 4-5mila rmb al mese. Se la cavano meglio gli studenti di economia e finanza, che arrivano a 6mila, o anche a 7mila. Chi fa filosofia, storia o materie umanistiche deve accontentarsi di 2-3mila rmb”. Si tratta, cioè, di poche centinaia di euro.

Ma sono comunque tanti. Ogni anno milioni di aspiranti colletti bianchi si riversano nelle megalopoli cinesi alla ricerca dell’ufficio che li assumerà. Li chiamano le formiche perché, oltre ad affollare piccoli appartamenti simili a formicai, sono intraprendenti, disciplinati e pronti a sacrificarsi pur di ottenere un posto. Sono anche istruiti, masticano un po’ d’inglese e sanno usare internet e le nuove tecnologie. Potrebbero diventare un problema per il governo.

Il quotidiano China Daily, riprendendo un articolo di Newsweek, riporta le allarmanti parole del professor Zhou Xiaozheng, sociologo presso l’Università del Popolo di Pechino a proposito dell’esercito delle formiche. “Se non sono soddisfatti dalle loro condizioni di vita potrebbero iniziare un movimento di protesta, come quello di Tian’anmen del 1989. Il problema allora diventerebbe enorme”.

La pazienza delle formiche, si sa, è tanta. Ma un giorno potrebbe anche finire.

* Michele Penna è nato il 27 novembre 1987. Nel 2009 si laurea in Scienze della Comunicazione e delle Relazioni Istituzionali con una tesi sulle riforme economiche nella Cina degli anni ‘80-’90. L’anno seguente si trasferisce a Pechino dove studia lingua cinese e frequenta un master in relazioni internazionali presso l’Università di Pechino. Collabora con Il Caffè Geopolitico, per il quale scrive di politica asiatica.

[Scritto per Rassegna.it; Foto Credits: teakdoor.com]