(In collaborazione con AgiCHINA 24) Vietato toccare i diritti dei lavoratori cinesi, o, almeno, quelli dei dipendenti pubblici. "La legge prevede 40 ore di lavoro su cinque giorni alla settimana e bisogna rispettare il diritto al riposo dei lavoratori". Sembrano le parole di un sindacato europeo. Invece è la voce della stampa cinese. È stato il Xin Jing Bao, il 12 aprile, a riportare il caso della contea di Tongxin, nella provincia centrale del Ningxia, dove "di recente è stato diffuso un avviso secondo cui, dal mese di aprile, i dipendenti di ogni ufficio amministrativo di villaggio e cittadino, di ogni ufficio governativo e di ogni unità di lavoro direttamente dipendente dalla contea dovranno rispettare, in forma temporanea, un orario che prevede 6 giorni di lavoro su 7".
Questa novità, segnala il quotidiano pechinese, dipende dal fatto che "lavorare il sabato come gli altri giorni della settimana è stato definito un servizio utile alla realizzazione dei progetti prioritari della contea".
Il 15 aprile, sul sito “rosso” Hong Wang, ripreso poi da diversi portali di informazione e testate tra cui il Jingji Ribao, l’opinionista Yu Minghui ha firmato un commento intitolato “Il sistema di lavoro 6 giorni su 7 è un abuso”. Il testo è meno veemente di quanto il titolo possa far pensare, ma il senso è chiaro.
"L’intento di portare avanti le priorità chiave della contea di Tongxin va visto in termini positivi – inizia il commento -, e sistemi che prevedono l’estensione dell’orario di lavoro attraverso il passaggio da 5 a 6 giorni, con la formula del 5+2 o con l’aggiunta di ore di lavoro ‘nere’ all’orario regolare non sono certo stati usati per la prima volta a Tongxin.
Nel 2010, la città di Qingzhou, nello Shandong, ha ‘incoraggiato e proposto’ che i funzionari pubblici lavorassero il sabato, mentre l’anno scorso il comitato di partito di Taiyuan ha lanciato un appello ai funzionari, ai membri del comitato di Partito e ai dirigenti della città affinché lavorassero per sei giorni alla settimana, aggiungendo due ore in più di lavoro ogni giorno".
Queste regole però, secondo Yu Minghui, "sono state tutte inefficaci. Norme di questo tipo suscitano dubbi sia teorici che pratici".
A livello legislativo, "bisogna dubitare della legittimità di un cambiamento da 5 a 6 giorni lavorativi perché chiedere che i funzionari pubblici svolgano il proprio lavoro in modo efficace non può essere fatto a costo di violare e sacrificare (anche solo in modo temporaneo) il loro diritto al riposo, per di più senza la retribuzione delle ore di lavoro straordinario".
Il commentatore riconosce che "i funzionari pubblici sono responsabili dell’offerta di servizi efficienti ai cittadini, ma questo non significa che essi possano essere privati del proprio diritto al riposo.
Il diritto al riposo fa parte dei diritti fondamentali di ogni cittadino. Rendere regolare il lavoro straordinario equivale a rendere regolare la violazione di questo diritto. La legge sul lavoro stabilisce chiaramente che nessuno può lavorare più di 8 ore al giorno, per un totale di 40 ore alla settimana, il che equivale a un orario di lavoro di 5 giorni su 7".
L’editorialista rileva che la sensibilità mostrata dall’opinione pubblica cinese va verso la direzione di una "ulteriore salvaguardia dei diritti dei lavoratori", e non certo di una loro violazione.
Inoltre, segnala Yu Minghui, "la chiave per stimolare il lavoro non sta nell’estendere l’orario di attività".
Per ottenere efficienza da parte dei funzionari, meglio "potenziare l’educazione rispetto agli obiettivi, aumentare il controllo disciplinare, istituire un sistema di responsabilità rispetto all’efficacia dell’azione dei lavoratori", e fare sì che "i dipendenti amino il proprio lavoro".
Rispettare l’orario di ufficio e portare a termine il proprio lavoro "sono compiti naturali dei funzionari pubblici.
Adottare misure non illegali per accrescere la produttività del lavoro è doveroso, ma aumentare la produttività al punto da violare le regole sull’orario di lavoro non vale lo sforzo, perché non garantisce maggiore efficacia", conclude Yu.
Del resto, proprio nella salvaguardia dei diritti dei lavoratori, e soprattutto nella garanzia di un salario minimo dignitoso, il direttore dell’Istituto di ricerca sull’economia del lavoro e sulla popolazione dell’Accademia delle scienze sociali, Cai Fang, vede una delle formule per ridurre gli squilibri tra chi ha troppo e chi ha nulla.
Lo studioso lo afferma in un editoriale pubblicato dalla rivista Xin Shiji e ripreso dal Donfang Zaobao il 6 aprile.
A preoccupare Cai Fang è il "continuo peggioramento della situazione relativa alla distribuzione del reddito in Cina".
E se, come spiega nel suo commento, lo squilibrio tra i redditi da capitale può essere almeno in parte mitigato tramite la tassazione, lo squilibrio tra i redditi da lavoro può essere ridotto "con meccanismi di mercato, come la costruzione e il miglioramento delle regole sui salari minimi, sul funzionamento dei sindacati, sulla negoziazione collettiva dei salari".
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