Nonostante l’inizio delle riforme ed la progressiva rimozione delle sanzioni internazionali, la condizione dei dissidenti birmani è ancora preoccupante. Oltre un migliaio sono ancora in carcere tra oppositori politici e monaci come Gambira: guida spirituale e leader della All Burma Monks Alliance.
L’Australia ha deciso di alleggerire le sanzioni contro il regime birmano. Un segno di distensione per le aperture e le riforme avviate un anno fa dal presidente Thein Sein e coronate a inizio mese con l’elezione in Parlamento della leader dell’opposizione democratica Aung San Suu Kyi e la netta vittoria alle suppletive della sua Lega nazionale per la democrazia.
Il governo di Canberra ha revocato le restrizioni finanziarie a di spostamento a 260 funzionari di governo e imprenditori, tra cui il capo di Stato, ha annunciato il ministro degli Esteri Bob Carr in visita a Londra. Appena venerdì lo stesso primo ministro britannico, David Cameron, aveva esortato alla revoca delle sanzioni durante la sua visita in Birmania.
Un viaggio doppiamente storico. Cameron è stato il primo leader occidentale a visitare il Paese del Pavoni dall’inizio delle riforme e il primo premier britannico dal oltre sessant’anni.
Secondo le associazioni per la tutela dei diritti umani, i cambiamenti in atto nel Paese non possono far dimenticare la condizione in cui continuano a versare dissidenti e oppositori. L’Associazione di assistenza ai prigionieri politici (AAPP) stima che siano almeno mille i prigionieri politici ancora in carcere, nonostante l’amnistia di gennaio che portò alla scarcerazione di oltre 600 oppositori tra monaci, militanti dei partiti democratici, sindacalisti e leader delle minoranze etniche. Molti sono poi quelli scarcerati e finiti nuovamente nella rete del regime.
Appena varcata la porta del carcere, di nuovo libero, Ashin Gambira non sembrava aver cambiato idea sul governo birmano. “Ha ancora tutte le caratteristiche della dittatura”. A febbraio, quando non era trascorso neanche un mese dalla sua scarcerazione nell’ambito dell’amnistia di metà gennaio, per qualche ora i suoi sospetti si sono materializzati.
Gambira fu fermato dalla polizia per “accertamenti” e dopo un nuovo arresto rilasciato ai primi di marzo. Era accusato di aver violato i termini della libertà condizionale per aver rilasciato interviste critiche verso il governo e aver tentato di riaprire alcuni dei monasteri sigillati dai generali dopo la cosiddetta “rivoluzione zafferano” dell’autunno 2007.
Nato nel 1979 come U Sandawbartha, Gambira, questo il nome con cui è conosciuto, è un ex bambino soldato convertitosi alla vita monacale che ha trascorso in carcere gli ultimi tre anni, con ripercussioni sula sua salute fisica e mentale. Nel 2007 fu uno dei leader della All Burma Monks Alliance.
Per settimane i bonzi sfilarono per le principali città birmane per chiedere “armonia e riconciliazione”, in una sfida aperta al regime che rispose facendo circondare pagode e monasteri e arrestando centinaia di monaci. Tra loro lo stesso Gambira, catturato a Mandalay il 4 novembre mentre si accingeva a tenere un discorso per esortare i birmani a “continuare a battersi” contro la dittatura.
“Sapevo che il governo avrebbe reagito”, spiegò al magazine d’opposizione Irrawaddy, “Non si limiteranno a chiuderci in galera, ci uccideranno, ma non possono ignorare le sofferenze del popolo birmano. Le manifestazioni del 2007 furono proteste pacifiche cui la gente aveva paura di partecipare”
In un Paese dove il 90 per cento della popolazione è buddhista, i monaci non sono soltanto guardiani della fede, ma sono coinvolti nei più disparati aspetti della vita, sia come guide spirituali sia come mediatori sociali. In cambio ricevono sostentamento dalla gente. Una vicinanza attraverso cui hanno conosciuto di prima persona le difficoltà dei birmani. Perciò la protesta zafferano, dal colore delle tuniche, si caratterizzò come la più grave minaccia al regime dal movimento studentesco del 1998.
Gambira fu condannato a 68 anni di reclusione nel novembre dell’anno seguente, poi ridotti a 63. Sulla sua testa pesavano 17 capi d’imputazione tra cui sommossa e oltraggio alla religione. Le associazioni per la difesa dei diritti umani hanno a più riprese denunciato le violazioni delle norme internazionali durante il processo. Lo stesso suo avvocato decise di ritirarsi denunciando di non poter preparare una difesa adeguata. Nel 2008 fu premiato per il suo attivismo dall’organizzazione britannica Index of censorship.
Ironia della sorte, ha riferito Democratic Voice of Burma, appena una settimana dopo l’interrogatorio di Gambira, il governo ha deciso la riapertura di alcuni dei monasteri sigillati quattro anni fa, sebbene ancora considerati possibili covi d’opposizione. Compreso Maggin, uno dei centri che il monaco dissidente tentò di riaprire prima del fermo.
Secondo l’abate U Pyi Kyaw a fare pressioni sul nuovo governo civile di Naypydaw sarebbe stata la potente Sangha Maha Nayaka, la commissione statale per gli affari monastici. La stessa che una settimana prima sospese la cerimonia per la nuova ordinazione di 40 monaci liberati a gennaio e chiese il siluramento dell’abate Ashin Pyinya Thiha, considerato un dissidente per aver partecipato a un’iniziativa politica della Lega nazionale per la democrazia di Aung San Suu Kyi, che a novembre incontrò il segretario di Stato americano, Hillary Clinton.
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