Necessario strumento di autosupporto per digerire i fraintendimenti e le inquietudini quotidiane. Quando ogni sforzo di dialogo interculturale cede davanti alla bieca logica capo-dipendente.
20 aprile 2010, 00:50
Sulle tracce di Napoleone
Ecco un altro fondamentale momento di alto giornalismo. Da collocare, va da sé, nella serie delle serie.
Stavolta è il caso della serie sui "viaggiatori in Italia", e lui ha optato per Napoleone all’Elba: anche se non si tratta propriamente di un viaggio, ma di una prigionia.
Non stiamo qui a sottilizzare, comunque. Non c’è però granché da vedere e se ne rende conto anche lui quando entriamo nel primo museo, la Palazzina dei Mulini, dove mi tocca anche lottare e fare la simpatica per farci autorizzare a fare le foto (per sentirmi poi dire dal custode: "Ringrazia Madre Natura che ti ha fatto carina e ti aiuta in questi casi", e per sentirmi dire da lui che, mentre io contrattavo per le foto, lui le aveva già fatte e neanche gli servono perché non c’è nulla da fotografare, che, insomma, mi aveva mandato come "esca").
Le foto, sempre loro il problema. C’è persino la possibilità, se non gli piace nessuna delle foto che fa in questi due giorni ("Un’immagine", dice, "in cui si capisca subito il nesso Napoleone ed Elba"), che prendiamo un elicottero per fare la foto dall’alto dell’isola.
Mentre ci aggiriamo, ripete cose come: "Is this where Napoleone lived? We have to find what he saw, this is the real question: what did he see?", oppure: "I wonder what Napoleone was thinking about living in this island".
Posso dire quel che vedo io: il mio capo giapponese, a suo modo napoleonico, correre da una parte all’altra dell’isola d’Elba, essere scambiato per un ragazzino della scuola media (eravamo sul traghetto, con noi c’era imbarcato un gruppo di studenti di una scuola, e un professore a un certo punto s’è preso sottobraccio il giapponese scambiandolo per un liceale), e poi lo vedo rischiare di cadere in acqua in un momento di romanticismo (voleva toccare l’acqua del Mediterraneo… immagino per sapere cosa provò Napoleone…). Eccetera eccetera.
20 aprile 2010, 00:52
Mussolini cacca
Ci racconta un aneddoto.
Durante il fascismo, un artista giapponese arriva in Italia e ottiene il privilegio di essere ricevuto in udienza da Mussolini. Ad assistere c’è anche un giovane prete giapponese.
L’artista inizia il suo pubblico discorso: "Cacca Mussolini…."
Gelo degli astanti. Risatina sommessa dei pochi che conoscono entrambe le lingue.
In giapponese per rivolgersi a qualcuno in posizione gerarchicamente superiore e indicare rispetto, sudditanza, si usa il termine "cacca".
20 aprile 2010, 00:53
Italiani brava gente
Siamo a pranzo io e lui, e sai che novità. Eppure, sorprendentemente, siamo ancora in grado di cavare argomenti davanti al solito piatto e bicchiere di prosecco.
Parliamo come sempre dell’Italia. Mi racconta che pochi giorni prima, quando era diretto a Vienna per un breve soggiorno, ha sperimentato sulla sua pelle, a causa di tre piccoli episodi consecutivi, la direzione in cui sta andando il Paese. Non vede propriamente razzismo, ma xenophobia sì, e lo spaventa – e come dargli torto! – la Lega in alcuni dei suoi rappresentanti e atti.
Prima si trova a leggere il tabellone elettronico dei voli e un uomo, in giacca e cravatta, abbastanza giovane, gli fa cenno con la mano: il classico gesto che significa "sciò", a ricacciare lontano. Lui, dice, lo guarda fisso negli occhi e quello infine si allontana.
Poi la commessa che non lo degna del minimo riguardo e della minima cortesia.
Infine il commesso di Feltrinelli, chiacchierone e scherzoso con tutti, quando arriva il suo turno, non gli rivolge la parola, passa il codice a barre del libro (che comunque è Dylan Dog), prende i soldi e non alza gli occhi.
Mi immagino la sua sensazione di viaggiatore solitario, di straniero che, proprio quando crede di aver raggiunto un discreto livello di integrazione e comunicazione, si vede improvvisamente rifiutato. Posso sentire la delusione e il dispiacere di chi, solo, soppesa doppiamente le attenzioni degli estranei.
Mi vergogno dell’Italia, in questi momenti – anche perché, continua lui, appena arrivato a Vienna tutto cambia e la gentilezza generale è impressionante, se confrontata all’Italia.
Qui non c’è via di mezzo, soprattutto non esiste cortesia. E forse è anche un attributo di una città svaccata e un po’ puttana come Roma. O si è scortesi o si oltrepassa subito la linea dell’educazione per arrivare alla pacca sulle spalle, al cameratismo e a una specie di familiarità del tutto ingiustificata.
Lui dice che tutto questo può essere molto utile a liberarsi dello stress, non c’è l’obbligo di fingere sempre e comunque, in Italia se qualcuno ti sta antipatico puoi mostrarlo.
Io di converso, ancora una volta penso all’elogio di Giorgio Amitrano alla formalità, alla cortesia come valore, anche laddove nasconde ipocrisia.
*Lavoro per un giornale giapponese, ma in Italia. Non parlo giapponese, ma passo le giornate a discutere con un giapponese: il mio capo. Ne ho cambiati diversi, eppure molte questioni sono rimaste le stesse. Ce n’è una, poi, a cui proprio non so dar risposta: che ci faccio qui? (senza scomodare Chatwin per carità)