La nostra rassegna quotidiana
L’economia cinese potrebbe tornare a chiudere l’anno con un 7%, ma il problema del debito corporate e dell’opacità del regime fiscale dei governi locali continua a minacciare la stabilità del gigante asiatico. Ad affermarlo è il governatore della banca centrale cinese Zhou Xiaochuan che domenica, a margine degli incontri di FMI e World Bank a Washington, ha evidenziato una lieve diminuzione del livello del debito cinese, pur riaffermando la necessità di proseguire nel processo di deleverage. Secondo il funzionario, il problema sta sopratutto nella scarsa trasparenza delle politiche fiscali e nei rapporti intergovernativi a livello locale. In attesa di un possibile pensionamento, è la seconda volta in pochi giorni che Zhou invoca le riforme economcihe. La scorsa settimana in un’intervista a Caijing il governatore aveva rimarcato l’esigenza di una “troika”: più commercio estero, un meccanismo “bilanciato e ragionevole” per stabilire il tasso di cambio dello yuan e infine un minor controllo sui capitali per favorire la liberalizzazione della valuta cinese.
La lunga mano di Pechino sulla tecnologia
Il Partito comunista cinese sta cercando di assumere il controllo delle aziende tecnologiche. Secondo il WSJ, i regolatori di internet sarebbero in trattative per l’acquisizione di una quota dell’1% in Tencent e Youku sufficientemente consistente da assicurare loro un certo potere gestionale all’interno dei due colossi cinesi. Questo ad appena pochi giorni dall’offerta di due piccole piattaforme di news ai media statali. Come nel resto del mondo anche in Cina le notizie si leggono sempre più spesso online ed è premura di Pechino che a passare siano solo le informazioni giuste.
Recentemente il FT ha sottolineato come le compagnie tecnologiche siano sempre più franche nel manifestare la loro fedeltà al Partito, incuranti delle potenziali ripercussioni sul business con l’estero. Negli ultimi tempi, oltre 35 società, tra cui Sina e Baidu, hanno istituito comitati di Partito incaricati di verificare che le attività quotidiane siano in linea con gli obiettivi politici di Pechino. Per la prima volta nella storia, il 25 settembre, il comitato centrale, in tandem con il Consiglio di Stato, ha rilasciato una definizione del ruolo e degli obblighi del settore privato nell’economia cinese. E non a caso il patriottismo è emerso come requisito numero uno.
Un Congresso frugale
Quello che si aprirà mercoledì sarà un Congresso all’insegna della frugalità, in linea con la campagna contro gli sprechi inaugurata da Xi Jinping appena assunto l’incarico di segretario generale del Pcc cinque anni fa. Secondo Wang Lilian, incaricato dell’accoglienza, a differenza degli altri anni, i delegati in arrivo nella capitale non saranno accolti da sontuose composizione floreali e striscioni decorativi. Niente frutta nelle stanze d’albergo né cetrioli di mare e gamberi per cena, piuttosto un semplice buffet a base di cucina casereccia come piacerebbe a Xi, balzato agli onori delle cronache tempo fa per un pranzo essenziale a base di baozi in un ristorante popolare di Pechino. I delegati saranno anche costretti a rinunciare a tutti quei servizi gratuiti messi a disposizione in passato: taglio dei capelli, trattamenti facciali e lavori di sartoria. Ma il Congresso, che sancirà un nuovo ricambio della leadership, non influisce solo sulla vita dei politici. A risentirne sono anche i cittadini comuni e le attività commerciali. Airbnb per esempio ha dovuto sospendere tutti gli affitti nell’arco di 20 km dal centro di Pechino a causa delle misure di sicurezza, mentre addirittura è stata temporaneamente sospesa la vendita di forbici e coltelli.
La Cina nel mirino dei jihadisti di ritorno da Siria e Iraq
Il ritorno dei jihadisti dai teatri di guerra mediorientali minaccia la Cina più della maggior parte degli altri paesi. A pensarlo è Raffaello Pantucci esperto di terrorismo presso il Royal United Services Institute di Londra. Secondo l’analista mentre in media il flusso di foreign fighters di ritorno in patria con intenti violenti è generalmente piuttosto esiguo, nel caso della Cina, alle prese con la radicalizzazione della regione autonoma musulmana dello Xinjiang, le cose cambiano. Anche grazie alla propaganda bellicista del Turkestan Islamic Party e agli appelli di Abu Bakr al-Baghdadi, è piuttosto evidente tra i miliziani uiguri dello Xinjiang la volontà di portare a termine una sorta di missione in cui il training in Siria e Iraq è soltanto preparatorio prima dell’obiettivo finale: tornare a casa per vendicare il genocidio culturale di cui si sentono vittima gli uiguri. Allo stesso, secondo Pantucci, il gigante asiatico è piuttosto esposto per via dei suoi molti interessi in giro per il mondo, facile preda della rappresaglia xinjianese.
Al via nuove operazioni congiunte tra Washington e Seul
Mentre rilevazioni satellitari indicano la possibilità di nuovi test missilistici nordcoreani, gli Stati uniti parcheggiano nuovi asset militari al Sud. Una flottiglia guidata dalla portaerei Ronald Reagan ha raggiunto quest’oggi le acque sudcoreane per esercitazioni congiunte con la Corea del Sud, dove da giorni è ormeggiato il sottomarino nucleare lanciamissili balistici Michigan. Le operazioni, che dureranno una settimana e coinvolgono 40 imbarcazioni da ambo i paesi, giungono dopo i molti accenni di Trump all’ipotesi di una soluzione militare della crisi coreana — in barba agli sforzi diplomatici del segretario di Stato Tillerson. Intanto c’è grande attesa per la visita del presidente americano in Asia il prossimo mese, quando ci si attende verrà riaffermato il sostegno a Seul e Tokyo, con il Yomiuri Shimbun che parla della possibile offerta di “un ombrello nucleare” agli alleati asiatici.