Better City Better Life. E i contadini? Liang Hong, esperta di letteratura rurale, che è tornata nel suo villaggio natale per cercare di capire cosa sono e cosa stanno diventando le campagne di oggi. E ci ha scritto un libro.
Liang Hong si occupava di letteratura contemporanea. Era la sua materia di laurea, in cui si era specializzata. Fino a diventare una critica di letteratura rurale e una scrittrice.
Fino ai primi anni Novanta in Cina, gli intellettuali erano tutti affascinati dalla letteratura rurale, c’erano grandi scrittori. Alcuni dei quali anche tradotti in occidente come Mo Yan e Yan Lianke.
Ma con l’ingresso nel XXI secolo questa fascinazione scompare. Non è più la Cina delle campagne a incuriosire scrittori e lettori, ma le metropoli e l’urbanizzazione costante a cui la Cina è sottoposta.
“Cominciavo a sentirmi a disagio anch’io. I contadini protagonisti dei libri si discostavano sempre di più dai contadini reali. E questi ultimi cominciavano a scomparire anche dai discorsi ufficiali e dai documenti della Propaganda. L’apice si è raggiunto con lo slogan dell’Expo di Shanghai: Better City Better Life. E chi non vive in città?”.
Il suo ultimo lavoro cerca proprio di dare risposta a questa domanda. Zhongguo zai Liangzhuang (La Cina nel villaggio Liang) è il suo primo lavoro di non-fiction.
Liang è il posto dove è nata e dove vive la sua famiglia. Da quando l’ha lasciato ci torna ogni anno, almeno un paio di volte. Ma nel 2008, in piena campagna olimpica, Liang Hong c’è tornata con uno spirito diverso.
Seduta alla scrivania della Normale di Pechino a studiare e insegnare letteratura rurale, “mi sentivo esclusa dalla realtà. Così ho comprato un biglietto del treno per tornare a casa. Anche lì si sapeva che era l’anno in cui la Cina avrebbe ospitato le Olimpiadi (la tv non manca in campagna!), ma di certo non era la preoccupazione principale delle persone.”
In quell’occasione ha guardato per la prima volta il suo villaggio con altri occhi. Era un villaggio del nord della Cina, identico a milioni di altri: “non grande, né piccolo; non ricco, né povero. Aveva sviluppato, negli ultimi trent’anni, problematiche comuni a molti altri villaggi della Cina settentrionale: rifiuti, desertificazione, inquinamento; e poi distruzione e ricostruzione di edifici. Come in molti altri posti, trent’anni fa c’erano un ruscello e un laghetto, oggi scomparsi.”
Poteva essere un caso studio per tornare a comprendere le campagne cinesi, per riuscire a capire che futuro riservava la Nuovissima Cina ai contadini.
Le sembrava infatti chiaro che nelle prospettive del Governo centrale, nell’immagine di sé che la Cina si stava costruendo, villaggi e contadini non avevano posto: “dovevano essere assorbiti”.
Quello che non riusciva a capire era come e da cosa. Quello che capiva benissimo era che erano proprio i villaggi a mantenere intatte le radici e le tradizioni dell’intero paese. Intervistando i suoi compaesani, si faceva sempre più forte in lei la consapevolezza che questi, seppure in apparenza conducevano una vita completamente normale, portavano in sé tutte le contraddizioni e i dolori della moderna povertà cinese.
Una povertà che differiva completamente da quella sperimentata negli anni Cinquanta: “all’epoca si poteva parlare di lavoratori organizzati attraverso reti e strutture sociali, oggi invece sono lavoratori migranti, soli.”
I migranti di oggi vanno in città in cerca di fortuna, spesso lasciando i figli ai propri genitori nei paesi d’origine, senza vederli anche per due o tre anni consecutivi. Lavorano duro, senza alcuna rete di protezione.
Nessuno li accoglie. Non le strutture sociali delle città, né gli abitanti. Sono tollerati fino a quando c’è del lavoro da fare, ma al primo controllo risulteranno illegali. Altro che precari. La maggior parte di loro non ha né permessi di lavoro né di soggiorno. E i loro figli non possono frequentare le scuole della città.
È questo che trova nelle persone che intervista per cercare di ricostruire il quadro delle campagne cinesi: situazioni famigliari al limite dell’impossibile, e dolore nascosto nel fondo dello stomaco.
Chi rimane, chi torna, si lamenta costantemente e insulta i funzionari corrotti. Ma nessuno ha voglia di passare all’azione: “vivremo qui tutta la vita e dopo di noi i nostri figli, meglio non inimicarsi le famiglie potenti”. Questo rispondono alle domande provocatorie della scrittrice giornalista. Eppure il loro habitat naturale sta scomparendo.
[Foto credit: bookwormfestival.com]