Raccontare la Cina è difficile anche per chi ci sembra che sappia farlo meglio. I giornalisti, gli storici e gli stessi scrittori e intellettuali cinesi scelgono un’angolazione e un approccio per raccontare la complessità di questo paese. Al Bookworm International Literary festival di Pechino.
Nella Cina imperiale ogni imperatore era figlio del Cielo e investito dal suo mandato: tianming. Si pensava che le grandi catastrofi naturali fossero in realtà segno evidente che l’imperatore non godeva più del favore divino, forse per aver approfittato della propria posizione e sicuramente per non aver governato secondo giustizia.
Nel 1976, l’impero è già un lontano ricordo, ma un terremoto 7.8 sulla scala Richter con epicentro a Tangshan, nella Cina del nord fece 250mila vittime.
Sempre nel 1976, funesto anno del drago, morirono figure politiche come Zhou Enlai, Zhu De e, soprattutto, il grande timoniere Mao Zedong.
È qui che comincia il libro di James Palmer, esperto di storia cinese e attualmente giornalista del Global Times, la voce inglese del Quotidiano del popolo.
Heaven Cracks, Earth Shakes: The Tangshan Earthquake and the Death of Mao’s China ci racconta la gli intrighi di potere e i colpi di stato nel segreto delle quattro mura di Zhongnanhai, il quartier generale del Partito.
Nel giro di due anni la banda dei quattro viene arrestata, Deng Xiaoping prende il potere e si apre la strada che porterà la Cina a diventare la superpotenza che oggi conosciamo.
In soli trentacinque anni la Cina diventa un altra. Palmer ce ne da un’idea rapidamente attraverso la storia di una parola: tongzhi, l’appellativo all’epoca più comune, compagno, è usato ora solo negli ambienti gay.
In questa Cina la professione del giornalista non è facile. Si sente mancare la terra sotto ai piedi, sono l’umiltà e la curiosità, forse, le chiavi per la comprensione. Almeno secondo i giornalisti dell’Economist (LEGGI QUI), che raccontano le loro difficoltà ed esperienze di lavoro. Dalla rivolta dei Boxer, nel 1900, alla complessità della Cina di oggi.
Ed è questa nuova Cina che un altro storico, Jonathan Fenby, cerca di riassumere in sole 400 pagine: Tiger Head, Snake Tails: China Today, How It Got There and Where It Is Heading. La descrizione è tutta nel titolo: un gigante dalla testa di tigre che stupisce il mondo ma che dietro le spalle nasconde una coda piena di squame, “piccoli e frastagliati elementi che la fanno molto più complicata di quanto può apparire a un primo sguardo”.
Fenby cerca di dare al lettore uno sguardo a tutto tondo su politica, economia, società nella Cina moderna toccando temi come l’ambiente, la corruzione e la nuova leadership, ma anche la trasformazione della famiglia tradizionale e l’avvento e la continua crescita dell’utilizzo dei nuovi media.
Sicuramente la preoccupazione che sente più forte la Cina in questo momento non è se un giorno dominerà il mondo, ma se riuscirà a tenere a freno le proteste interne che l’autore stima tra le 140 e le 150mila solo lo sorso anno.
Ma se è vero che le proteste sono molte in Cina, non è detto che ne siano tutti interessati. La generazione metropolitana nata dopo gli anni ’80, ad esempio, vuole concentrarsi su un troppo a lungo dimenticato io piuttosto che continuare a interrogarsi sulla società.
La trentenne Di An, in aperta competizione con il suo omologo maschile Han Han, ne rappresenta amori, interessi e contraddizioni (LEGGI QUI).
Mentre nelle vere campagne cinesi sono in pochi quelli che hanno voglia di rischiare tutto e passare all’azione. Ce lo racconta Liang Hong, esperta di letteratura rurale (LEGGI QUI).
Per sentire queste voci ed altre ancora, abbiamo chiesto a Kadi Hughes (LEGGI QUI), ideatrice e organizzatrice del Festival che raccoglie queste voci, di raccontarci come nasce, cresce e vuole svilupparsi il Bookworm International Literary Festival di Pechino. Un’ulteriore prospettiva interessante per comprendere la Cina.
[Foto credit: beijingbookworm.com]