Il 10 marzo il Bookworm International Literary Festival ha ospitato tre giornalisti dell’Economist. Un’ora di racconti, difficoltà ed esperienze durante anni di vita e giornalismo in Cina. Gady Epstein, Ted Plafker e James Miles.
Siamo abituati a vedere le loro firme su articoli riguardanti diversi temi, ma tutti con un unico scopo: cercare di raccontare e spiegare cosa sta avvenendo nella Cina contemporanea.
Non è facile. La professione del giornalista non è facile. In Cina soprattutto dove chi non parla cinese si sente mancare la terra sotto ai piedi, dove l’umiltà e la curiosità, forse, sono le chiavi per la comprensione.
La caparbietà non manca a nessuno dei tre e neanche la sottile ironia british che ha convogliato sorrisi e spazi ilari, in una non proprio ridente giornata pechinese.
Partendo dallo sguardo spesso distorto che si è avuto sull’oriente, Gady Epstein ha raccontato gli errori mediatici più clamorosi, tra cui quello del 21 luglio 1900 a proposito della rivolta dei Boxer, quando molti media occidentali, tra cui l’Economist di allora, hanno riportato notizie erronee.
A seguito degli eventi scrissero che “la Cina ha deliberatamente inflitto all’Europa e al Giappone un insulto senza precedenti storici” e che l’Europa “avrebbe dovuto vendicarsi in maniera adeguata”.
Miles ha condiviso con il pubblico una tra le esperienze più appaganti del corrispondente per l’Economist in Cina, ossia la possibilità di contribuire ai Christmas Special, i reportage che escono sul numero natalizio e che possono non stare “sulla notizia”, ma permettono al giornalista di andare alla ricerca di una vera storia da raccontare.
A questo punto della discussione Ted Plafker e James Miles hanno raccontato come sono nati alcuni dei loro reportage.
Miles ha introdotto una vicenda che riteneva potesse avere una forte componente culturale e non avrebbe fatto nascere problematiche con il governo cinese poiché di colore.
Si è invece rivelata molto critica, in quanto andava a toccare nel vivo una problematica esistente in Cina: l’identità culturale delle minoranze e il desiderio di distanziarsi dall’omologazione imposta dal Partito (la storia dei “presunti” discendenti romani nel Gansu).
Plafker ha raccontato invece delle speranze tradite nell’andare alla ricerca di una storia che fosse finalmente “positiva sulla Cina”, rappresentando una best-practice nel processo di modernizzazione.
Il desiderio era di sfatare il cliché per cui il giornalismo – soprattutto se dalla Cina – si deve sempre focalizzare su storie di insuccessi o errori. Speranze tradite perché si è rivelato essere l’ennesima favola mediatica in cui emergeva una Cina con il governo locale a farla da padrone.
Tutte le storie citate mostrano un aspetto comune del lavoro di corrispondente dalla Cina: le aspettative sono spesso sfatate e ridimensionate dal lavoro effettivo sul campo, perché raramente il governo consente di fare delle vere e proprie indagini.
Ovviamente, non mancano le parole spese a descrivere infinite discussioni con le forze dell’ordine cinesi, “mentre si beve tè”, ha sottolineato Ted Plafker. Non ci lascia stupiti neanche scorgere l’ego, quello del giornalista che fiero avanza nella propria ricerca, tra appunti scritti con una mano mentre con l’altra continua a twittare, per essere sempre presenti e riportare eventi e commenti.
Miles, che è stato anche corrispondente della Bbc durante i fatti di Tian’anmen nell’89, ha raccontato come da allora molto sia cambiato. Se una volta, infatti, non si poteva avere nemmeno un’idea di quelli che fossero gli intrighi di palazzo, oggi qualche scorcio in più sulla politica all’interno del partito è meno nascosto, basti vedere quello che sta emergendo dallo scandalo di Chongqing.
Infine, alla domanda fatta da un ragazzo cinese su come l’Economist potrà rappresentare il cambiamento della Cina contemporanea, alludendo al fatto che, spesso e volentieri, racconti e luoghi comuni sul paese di mezzo si intrecciamo inesorabilmente, non è stata data una risposta soddisfacente.
Per averla, forse, dovremmo leggere i loro articoli con le loro firme in calce.
[Foto credit: pressmine.com]