Vietnam – L’avventura nucleare della Piccola Cina

In by Simone

I progetti di Hanoi per una rivoluzione energetica del Paese sono ambiziosi: tempi strettissimi, collaborazione con Giappone, Russia e Corea del Sud, una centrale a pieno regime entro il 2020. Ma la comunità scientifica vietnamita rimane scettica.
È in una stanzetta angusta e senza riscaldamento che una ventina di giovani e brillanti ingegneri stanno prendendo appunti per prepararsi a scrivere un pezzo importante del futuro del Vietnam. Avvolti in pesanti giacconi, gli studenti sono parte di un gruppo accuratamente selezionato dalle autorità di Hanoi per partecipare a un seminario sugli effetti delle radiazioni organizzato dalla Japan atomic energy agency.

Dopo la parte teorica, gli specializzandi si trasferiranno in un laboratorio poco distante costruito grazie ai finanziamenti del Sol Levante, all’interno del quale gli esperti nipponici li attendono per passare all’analisi di diversi campioni radioattivi. La massa di dati e conoscenze da incamerare è enorme e il tempo a disposizione estremamente limitato: tra pochi mesi tutto ciò che avranno diligentemente appreso dovrà essere messo a disposizione del loro Paese e applicato sul campo.

Corsi universitari ad hoc, seminari di specializzazione per addetti ai lavori, borse di studio per la formazione all’estero. Così il Vietnam sta cercando di preparare in tempi record una classe di ingegneri e tecnici che possa gestire quello che si preannuncia essere uno dei programmi nucleari più ambiziosi al mondo.

L’energia idroelettrica che fino a questo momento ha alimentato le industrie e la produzione del Paese ormai non è più in grado di garantire quel ritmo di crescita del Pil del 7 per cento annuo raggiunto nell’ultimo decennio, e la dirigenza comunista vede nell’atomo l’unica scappatoia possibile per evitare che l’energivora Piccola Cina, come è stata soprannominata la repubblica socialista, sia costretta nel giro di tre anni a mendicare elettricità dai suoi vicini.

Individuata la via, la giovane tigre asiatica ha deciso di percorrerla a passo di carica, con lo zelo mutuato dalla sorella maggiore. La tabella di marcia è stata approntata in un lampo, con tappe serratissime: la corsa al nucleare prenderà il via nel 2014 con la costruzione della centrale di Ninh Thuan, la prima di tutto il Sud Est Asiatico; entro il 2020 l’impianto entrerà in funzione a pieno regime; entro il 2030 il Paese avrà a disposizione un numero di reattori non inferiore a 10, cifra che sale a 14 secondo le previsioni più ottimistiche.

Ad assistere il Vietnam in questa maratona saranno due alleati ormai fidati: la Russia e il Giappone. L’aiuto per lo sprint iniziale arriverà da Mosca: in base agli accordi sottoscritti nell’ottobre del 2010 la russa Rosatom fornirà il know-how e l’assistenza tecnica per la costruzione e l’entrata in funzione della prima centrale del Paese, nella provincia sudorientale di Ninh Thuan. Il progetto ha un costo stimato tra gli 8 e i 9 miliardi di dollari e darà vita a un impianto capace di fornire a regime 4mila megawatt di potenza.

Accanto a Mosca entrerà in scena Tokyo, che dopo una corte spietata è riuscita a fare breccia nel duro cuore comunista di Hanoi usando un piccone fatto di aiuti pubblici allo sviluppo, donazioni e finanziamenti. L’insistenza e la costanza della lobby nucleare nipponica sono stati ripagati da un accordo per la realizzazione di un secondo impianto atomico, che dovrebbe sorgere sempre nella provincia di Ninh Thuan, probabilmente vicino al villaggio di Thai An.

A garantire l’appoggio economico per l’avvio dei lavori sarà la Japan bank of international cooperation, che sovvenzionerà anche la costruzione delle strade, del porto e delle altre infrastrutture necessarie alla centrale.

Ulteriore sostegno al Vietnam sarà poi fornito dalla Corea del Sud, interessata a non rimanere esclusa da una partita che potrebbe sovvertire nel giro di pochi anni gli equilibri energetici dell’intero continente. Le trattative tra Hanoi e Seul per l’avvio di un progetto comune sulla costa orientale della penisola indocinese vanno avanti da tempo e, sebbene non sia ancora trapelata nessuna informazione certa, alcune indiscrezioni apparse sulla stampa asiatica sostengono che a margine del Nuclear security summit, che si svolgerà a fine mese nella capitale sudcoreana, i due Paesi si incontreranno per discutere una bozza di accordo.

Date queste premesse, dal lato economico e tecnico l’“avventura atomica” del Vietnam appare dotata di tutte le carte in regola per trasformarsi in un successo. Eppure le perplessità da parte degli esperti vietnamiti sulla riuscita dell’impresa non mancano, e i dubbi sembrano moltiplicarsi a ogni nuovo piccolo passo verso i nastri di partenza.

Basato su tecnologie d’avanguardia, progetti innovativi e know-how doc, il nucleare della Piccola Cina promette di essere efficiente, poco costoso e ad alto rendimento. Ma la domanda che tutti gli addetti ai lavori continuano a porsi è: “Sarà anche sicuro?”.

Hien Pham Duy, uno dei maggiori scienziati nucleari vietnamiti ed ex direttore del Dalat nuclear research institute, che ospita le più avanzate ricerche sull’atomo in corso nel Sud-Est Asiatico, ha provato a rispondere a questa domanda dalle pagine del New York Times citando una semplice statistica, relativa all’elevatissimo numero di incidenti stradali che si verificano ogni anno in Vietnam.

Un dato utilizzato per sottolineare quella "scarsa attenzione per la sicurezza" che a giudizio dello studioso "colpisce ogni tipo di attività e di settore" nel Paese, e che rischia di riproporsi anche nella gestione delle centrali atomiche.

Eco immediata alle preoccupazioni di Duy è arrivata da Tran Dai Phuc, ingegnere franco-vietnamita che ha lavorato per quarant’anni nell’industria nucleare francese e che ricopre oggi il ruolo di consulente speciale del Ministero della Scienza e della tecnologia.

Secondo il suo parere, il problema principale con cui è chiamato a confrontarsi il governo non sarebbe quello della sicurezza tecnica degli impianti, in merito alla quale non esiterebbe a suo avviso alcun dubbio, quanto quello della corruzione e della "mancanza di trasparenza" che caratterizza l’amministrazione pubblica ad ogni livello, accompagnato dalla "propensione a declinare ogni responsabilità" da parte di funzionari e dirigenti.

Le rassicurazioni che i tecnici russi e giapponesi continuano a offrire sulla totale affidabilità delle tecnologie esportate non riescono a fugare i dubbi di una parte della comunità scientifica vietnamita.

Usare reattori di terza generazione in grado di isolare automaticamente il combustibile nucleare in caso di interruzioni di corrente, costruire centrali in grado di resistere a terremoti del nono grado della scala Richter, collocare le turbine di raffreddamento in zone sismicamente inattive e lontane dalla costa per evitare il rischio tsunami, come promesso dagli ingegneri della Rosatom, sono accorgimenti che non valgono ad allontanare definitivamente lo spettro di una nuova Fukushima che continua ad aleggiare in Asia orientale.

Anche perché al problema della cattiva gestione politica e della poco netta separazione tra controllori e controllati si sovrappone quello delle tempistiche estremamente ridotte che Hanoi ha voluto stabilire per l’avvio del suo programma nucleare.

Come sottolineato da Tran Dai Phuc, al momento la Vietnam agency for radiation and nuclear safety, che rappresenta la massima autorità di controllo del settore, può contare su una trentina scarsa di esperti in grado di valutare con cognizione di causa eventuali rischi per la sicurezza e rispondere prontamente a un’eventuale emergenza.

E se è vero che già da alcuni anni l’esecutivo ha cominciato a destinare risorse crescenti alla formazione di nuovi specialisti, lo è altrettanto che, a detta degli ingegneri più navigati, due o tre anni di studio in questo campo non sono certo sufficienti a garantire quella sicurezza che rappresenta un requisito imprescindibile per l’avvio di qualsiasi progetto incentrato sull’energia atomica.

[Foto credit: enformable.com]

* Paolo Tosatti è laureato in Scienze politiche all’università “La Sapienza” di Roma, dove ha anche conseguito un master in Diritto internazionale, ha studiato giornalismo alla Fondazione internazionale Lelio Basso. Lavora come giornalista nel quotidiano Terra.